domenica 11 settembre 2011

Contro la schiavitù

Ogni tanto, per non dimenticare e per ricordare il più vile attentato contro la persona, ci dedichiamo al problema del lavoro nero, allo sfruttamento degli immigrati e al nuovo tipo di schiavitù, perché, per quanto possa sembrare anacronistico, la schiavitù esiste...eccome! Secondo Kevin Bales, autore del libro I nuovi schiavi, in tutto il mondo le "condizioni sono favorevoli alla schiavitù [...] la schiavitù evolve e si trasforma, esplodendo ogni volta si diano le condizioni giuste" e i due elementi fondamentali, il profitto e la violenza, combinate anche con altri fattori, fanno emergere i nuovi tipi di schiavitù. 
Oggi sembra meno evidente, perché è più facile evitare le responsabilità. Un tempo, nella vecchia schiavitù, c'era un vincolo stretto fra il padrone e lo schiavo, mentre nella nuova schiavitù, il padrone può anche essere a migliaia di chilometri dallo schiavo. Questo è ciò che consente la globalizzazione e molto spesso, negli acquisti quotidiani o nell'utilizzo di certi prodotti, seppur inconsciamente, alimentiamo il lavoro effettuato  a livello di schiavitù. Neanche ci chiediamo da dove venga un certo articolo e come venga prodotto e a quali condizioni. Noi lo compriamo perché costa meno o ci serve, punto e basta! 
C'è capitato di leggere sui giornali di sanzioni o pene pecuniarie a paesi che saccheggiano la proprietà del capitale, come un diritto d'autore o una tecnologia, ma, come scrive William Greider, "quando ad essere rapinate sono le vite umane...ai trasgressori non succede niente perché, in base al senso di coscienza del libero mercato, il reato non sussiste". Quando leggiamo che in India ci sono 15 milioni di bambini schiavi, ci indignamo e ci sentiamo fortunati di vivere in un Paese dove la schiavitù non esiste e, per un attimo, ci viene anche l'istinto di dare la nostra partecipazione a sostegno della lotta contro la schiavitù. Ma prima di ogni lotta o sanzione dovremmo essere consapevoli che i "diritti umani sono preminenti ai diritti di proprietà; che "la libertà degli esseri umani" viene prima del "libero scambio delle merci" e soprattutto, come ci ricorda Bales, che "lo schiavo non è altro che una merce". 
Non esiste una schiavitù migliore dell'altra, ma solo forme diverse, più o meno palesi e aberranti, ma si tratta pur sempre di schiavitù. Quando si parla di questo orribile delitto verso la persona, ci immaginiamo paesi lontani, sottosviluppati e governati da persone corrotte o spregevoli dittatori e non ci avvediamo che, invece, è una pratica a noi vicina. Molto vicina. Come si potrebbe chiamare, altrimenti, lo sfruttamento degli extracomunitari di Nardò? Venuto alla luce (si fa per dire) solo perché dei neri si sono sentiti in diritto di manifestare contro i soprusi quotidiani e le violenze perpetrate da caporali avidi e feroci? Se non sono contenti, perché non tornano a casa loro? Infondo gli diamo un lavoro!
Prendiamo dei dati su altreconomia.it, La lotta dei braccianti di Nardò,: un caporale, a fine stagione, prende 150.000 euro e non si sa quanto realizzi l'impresa e a un bracciante nero rimangono gli occhi per piangere. A livello provinciale è stabilito che la cifra per ogni cassone di pomodori sia di 6 euro. Premesso che, normalmente, un operaio può fare dalle 4 alle 6 casse di pomodori selezionati, il caporale offriva loro da 3,5 a 4 euro a cassa. Questi, però, per poter lavorare, sempre che avessero la fortuna di essere scelti, dovevano dare 5 euro per essere trasportati al campo e in 30 in un pulmino da 10 persone; 3,5 euro per il panino del pranzo e 1,5 euro per il succo di frutta. Questi costi erano (sono) obbligatori per poter lavorare.  Pur considerando il massimo della produzione (6 casse) e al valore cassa maggiore ( 4 euro), un bracciante poteva guadagnare, al giorno, 24 euro ai quali andavano sottratti i 10 euro di costi obbligati. 14 euro al giorno (media di 12 ore!). Con quei soldi dovevano mangiare, magari pagarsi un tugurio in cui dormire, salvo che non dormissero in vecchie e abbandonate cisterne o palazzi, sollevando magari l'indignazione dei verdi padani o della gente "bene" per il degrado ambientale causato. Quanti pensano al degrado di esseri umani ai quali sono negati i più elementari diritti?
Questa è schiavitù! E non si parla di un paese lontano, ma del nostro Sud, storicamente soggetto al razzismo del Nord, quindi sensibilizzato al dolore provocato dall'ignoranza e dalla sottocultura di chi si ritiene superiore. Noi abbiamo parlato di Nardò ma i casi scoperti sono diversi, anche se una minima parte del grande calderone che è l'economia sommersa e illegale. Non parliamo di cose nascoste, sporadiche o che avvengono in paesi di un entroterra abbandonato. Parliamo di fatti denunciati e mai risolti; parliamo di cose che tanti vedono e fanno finta di non vedere...in fondo gli diamo da mangiare, altrimenti chissà che farebbero! 
Ogni giorno vediamo e non denunciamo sfruttamento di lavoro nero alla luce del sole. Piccoli lavori di manovalaggio, pagati a ore, pochissimo, e, magari, a fine lavoro contrattare di nuovo il prezzo, condizione per un possibile richiamo. Non si pensa che quei soldi sono insufficienti, che non gli bastano neppure per sopravvivere l'attesa del possibile futuro lavoro. Che finiti quei soldi, oltre alla fame, c'è la rassegnazione a non avere nessun diritto.
Nel nostro Paese sempre più famiglie sono ai limiti della soglia di povertà e crescono i poveri. Diminuisce il valore lavoro e aumentano le difficoltà ad arrivare a fine mese e, cosa indegna, cresce la sensazione di non vedere un futuro, una via di scampo. Scriveva la Simone Weil: "ogni condizione nella quale all'ultimo giorno di un periodo di un mese, di un anno, di vent'anni di sforzi ci si trovi necessariamente nella medesima situazione del primo giorno, assomiglia alla schiavitù".







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