venerdì 16 dicembre 2011

Il futuro è nelle nostre mani

Jeremy Rifkin termina il suo libro, La fine del lavoro, con la frase "il futuro è nelle nostre mani". Se ha ragione!
Il futuro ce lo dobbiamo creare, perché se aspettiamo che gli altri ce lo disegnino, possiamo attendere in eterno. 
Sulla querelle in corso fra gli esponenti di sinistra, su come modificare il lavoro, la cosa che maggiormente ci  ha colpiti, per la sua indefinitezza, è la parte della proposta del senatore Pietro Ichino in cui spiega che a seguito della perdita di lavoro dovrà essere dato un "robusto sostegno economico e investimento sulla sua professionalità".

Già in altri post ci eravamo chiesti che intendesse Ichino per investimento sulla professionalità e, soprattuto, come pensava di impostare e gestire tale valorizzazione della professionalità.
L'esperienze vissute da parenti e amici ci dicono di corsi di ri-professionalizzazioni ridicoli e inutili: ad esempio, far partecipare ad un corso di inglese di secondo livello una persona che non l'ha mai fatto, e, oltretutto, già a metà del corso! Ma se ne potrebbero citare decine di casi di simile scarso ed assurdo livello. Ma supponiamo che ci sia la capacità e la volontà di fare corsi di elevato livello.
Già nel 1993,  si legge sempre nel testo di Rifkin, il ministero del Lavoro americano mise in luce che meno del 20% delle persone frequentanti è stato in grado di trovare un nuovo posto di lavoro e a un salario pari all'80% del precedente, e questo a causa del fatto che sempre più i pochi posti liberi a disposizione si presentano nella nuova economia ad alta tecnologia e nel "settore della conoscenza". Diventa veramente assurdo pensare che i così detti "colletti blu" possano essere "riprofessionalizzati" ad un tale livello, a causa del grande dislivello di istruzione fra quello detenuto e quello necessario.
Sicuramente nei prossimi anni le macchine (o i robot?) sostituiranno sempre più gli umani, specie nel terzo settore, quindi è presumibile che molte persone saranno allontanate dal mercato del lavoro e non è difficile presupporre, come ci ricorda l'autore, "che il traguardo della società senza lavoro è ormai in vista".
"Se il talento, le energie e le risorse di centinaia di milioni di uomini e donne non verranno indirizzati verso fini costruttivi, il consorzio umano sarà probabilmente destinato a disintegrarsi in uno stato di crescente povertà e criminalità dal quale non sarà facile fare ritorno".
Considerando il fatto che il lavoro, come risorsa del mercato, sta diventando marginale o quasi nullo, sarà necessario "concentrare  una maggiore attenzione sull'economia sociale....scarsamente presa in considerazione dalla gente e da chi formula la politica economica."

2 commenti:

  1. Caro Idelbo,
    assolutamente d'accordo: uno scenario inquietante e un futuro spaventoso. Occorrerebbe una classe politica attenta, disinteressata, e lungimirante.Come credere in Babbo Natale.

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  2. Caro prof.Woland...non mi dirà che non crede in Babbo Natale!

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