mercoledì 16 febbraio 2011

OLIVETTI: UN ESEMPIO DA SEGUIRE

Dopo aver letto l'articolo di Raffaele Mauro nel suo blog, Olivetti, che consiglio di leggere, mi sono ricordato di quando fui chiamato a Ivrea per un colloquio, insieme ad altri due studenti dell' ITIS di Pisa. Era il sogno di ogni diplomato in telecomunicazioni poter andare a lavorare nella mitica Olivetti. Un vero  mito.
Negli anni anni '50 - '60 del secolo scorso erano rari e molto contradditori i casi di imprenditori illuminati. All'interno della fabbrica di Ivrea i rapporti fra la proprietà e i sindacati erano ottimi; non esistevano licenziamenti per motivi sindacali o per ritorsione politica; numerosi studiosi, fra i quali Luciano Gallino e Alessandro Pizzorno, collaboravano con la direzione; Adriano Olivetti era un imprenditore moderno e illuminato. Si interessava ai lavoratori e alle loro famiglie; stimolava i lavoratori allo studio, dando tutte le agevolazioni possibili; pretendeva che vivessero la fabbrica e non la subissero.  Al di fuori della fabbrica, amministratori locali competenti e onesti si prodigavano a dare tutti i servizi sociali. Anche alla Olivetti, purtroppo,  c'erano lavori che più che la testa servivano le mani e dove i ritmi erano forsennati, come il montaggio dei tasti e dei levismi delle macchine da scrivere, ma, a differenza degli altri imprenditori, Adriano Olivetti lo sapeva e cercava di ricompensarli con un ambiente lavorativo  che si curasse di loro; dava salari superiori e, soprattutto, sono certo che se avesse avuto qualche altro anno a disposizione avrebbe automatizzato certe lavorazioni. 
Ma perché un'azienda come la Olivetti, tecnologicamente all'avanguardia, sensibile ai rapporti umani e che si preoccupava del benessere dei propri dipendenti ad un certo punto è sparita? Perché proprio la Olivetti? Potrebbe sorgere il dubbio che il binomio profitto - lavoro per la persona non vadano d'accordo.  
Attraverso una breve e spero esaustiva sintesi della sua storia, che, in linea di massima, si divide in tre fasi, di darne conto. Forse, ma lo lasciamo scorgere a chi legge, si ritroveranno molte similitudini con i nostri tempi; eppure sono trascorsi oltre cinquant'anni e la politica è rimasta la stessa. Per questa breve sintesi ci aiuteremo con il testo di Gallino, La scomparsa dell'Italia industriale.

Nel 1955 la Olivetti era leader mondiale delle macchine da scrivere  e le calcolatrici elettromeccaniche. Aveva 50.000 dipendenti: metà era in Italia e l'altra età distribuita in 170 paesi nel mondo. Nel 1953 l'Ibm aveva lanciato il suo primo calcolatore elettronico prodotto in serie. Si pensi che con questa azienda avevano collaborato al progetto grandi scienziati, come il fisico Robert J.Oppenheimer e il matematico John von Neumann. Solo grandi imprese, o centri di ricerca adeguatamente finanziate, potevano permettersi i costi di investimento iniziale e poi di gestione di simili macchine.
Nel 1959 (prima fase) esce  l'Elea 9003, il primo calcolatore elettronico interamente costruito e progettato in Italia, proiettando la Olivetti fra i primi sei produttori di mainframes al mondo. Dichiarata dalla concorrenza come la macchina d'avanguardia. I primi clienti furono Marzotto, Fiat, Monte dei Paschi di Siena, Cogne. In un anno furono vendute oltre quaranta unità.
Nel 1960 muore Adriano Olivetti, lasciando l'omonima ditta in difficoltà finanziarie, che, poi la famiglia non fu in grado di superare  e lo vedremo nel 1964.
Nel 1961 venne lanciato il modello più leggero ed economico, concepito per le piccole e medie aziende: Elea 6001. Nello stesso anno muore anche l'ing. cinese Mario Tchoo, considerato il massimo esperto di elettronica in Italia e determinante per la progettazione dei modelli Elea.
Nel 1962 il successo della Olivetti era enorme, ma ciò non era sufficiente per pareggiare il bilancio della Divisione Elettronica. Davanti aveva solo l'irraggiungibile Ibm, diventata grande per sue capacità e per le cospicue e mirate commesse dell'amministrazione federale Usa.  Si pensi che nell'amministrazione pubblica italiana c'era un solo Elea 9003, al Ministero del tesoro, perché regalato da Adriano Olivetti.
Nel 1964, a causa delle condizioni finanziarie, un gruppo di controllo, composto da Fiat, Pirelli, Mediobanca, IMI e Centrale assunse il controllo. Valletta, presidente di Fiat, pur riconoscendo che la Olivetti era strutturalmente solida e in grado di risolvere i problemi, decise che nessuna fabbrica italiana poteva affrontare gli investimenti necessari  nell'elettronica, quindi venne ceduto il 75% della società alla General Elettric, confermandosi incompetente a costruire computer. Da qui  varie vicende fino alla cessione alla Honeywell.

Alcuni commentatori del tempo insistevano sul fatto che la crisi della Olivetti discendesse dall'acquisto, 1959, della Underwood, utilizzata come canale per allargare il mercato americano e per il deficit di bilancio della Divisione Elettronica. Per Gallino è un luogo comune, in quanto le difficoltà finanziarie furono molto esagerate dagli stessi attori che dovevano farvi fronte. Pesò molto il giudizio negativo di Valletta e dei membri del gruppo di investimento. Fiat non aveva mai gradito che la Olivetti, oltre ad offrire agli operai condizioni di lavoro, salari e servizi sociali migliori delle sue; assicurasse loro pure una libertà di azione sindacale ben maggiori. L'azienda di Ivrea doveva essere ricondotta nei ranghi. Si pensi che per rendere competitiva la Divisione Elettronica sarebbero bastati qualche centinaio di miliardi, diluiti in più anni, che era una somma modesta per un'economia che, in quegli anni, stava dissipando migliaia di miliardi nei disastri della chimica e dell'elettronica di consumo. Quello che mancò fu la capacità di afferrare l'importanza che l'informatica sarebbe andata assumendo nella produzione, nel lavoro, nella ricerca e in tutta l'organizzazione sociale.

Nel 1965 (seconda fase), ceduta la Divisione Elettronica, un gruppo di ingegneri, guidati da Pier Giorgio Perotto,  progettò una calcolatrice elettronica che alla mostra di New York fu dichiarata "the first desk top computer of the world". Il primo vero personal computer mai costruito in serie. Tra il 1966 e il 1971 furono fatti 44.000 esemplari.  L'errore della  Olivetti fu di ritenere di avere acquisito un notevole vantaggio sui concorrenti, per ciò che riguardava la micro-informatica. Doveva investire ancora in ricerca e sviluppo. L'attacco non le venne dalla Ibm o Apple, ma dai giapponesi, che con la loro produzione snella avevano raggiunto dei costi improponibili per l'azienda di Ivrea.
Nel 1978, con il PC Ibm-compatibili, ritornò al successo, anche se fu fiorente ma breve. Nel frattempo l'azienda era sta rilevata da Carlo De Benedetti. Nel 1982 uscì con il primo PC con sistema operativo PCOS, diverso dallo standard MS-DOS, ormai onnipresente, e fu  un mezzo fallimento.
Nel 1984 (terza fase), con il modello M-24 arrivò il successo, anche grazie all'alleanza con AT&T, e per alcuni anni le vendite dei PC Olivetti furono al sommo delle classifiche europee.
Nel 1990 Olivetti incontra difficoltà sul mercato, per la riduzione dei margini di profitto. La strategie della nuova proprietà fu quella di diventare un assemblatore. In pratica tutti i componenti venivano comprati all'esterno. Mancava quel valore aggiunto derivante da una propria autonoma innovazione tecnologica.
Nel 1996 Colaninno, subentrato a Carlo De Benedetti, trasformò la Olivetti in un contenitore finanziario. Il suo principale contenuto sarebbe stata la Telecom. L'uscita dalla produzione fu ratificata nel 1997. L'informatica italiana era finita.
12 marzo 2003 il marchio Olivetti venne cancellato dal registro delle imprese italiane quotate in borsa ad opera di Marco Tronchetti Provera. Aveva bisogno di accorciare le catene di società finanziarie che controllano la Telecom. La Olivetti era un anello superfluo.
Storia di un'eccellenza italiana cancellata da una politica inesistente e affarista e da una finanza senza scrupoli, che della produzione non sa che farsene.  Con la Olivetti non solo si è persa un'azienda che aveva fatto onore all'Italia per la sua eccellenza, ma che aveva una meta: il lavoro per la persona. 
Oggi sono poche le aziende che percorrono questa strada e sono aziende, guarda caso, di eccellenza, dove la principale risorsa rimane il lavoratore. Si veda il caso della ditta ELICA, prima azienda italiana e quarta nel mondo, dopo Google, Coca Cola e Microsoft nella classifica "Great Place to Work"Elica.
           




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