lunedì 7 febbraio 2011

MARCHIONNE E L'ARTE DEL RICATTO

Ormai sono i soliti giochetti di chi sa  di avere il "potere", ma tenta di gestirlo come l'abbigliamento. Normalissimi maglioncini scuri, naturalmente di cachemire, che danno il senso della persona della porta accanto, dell'uomo pratico, lontano un miglio dai manager ingessati e lucidi di vecchio stampo. Rappresenta il nuovo, con una buona dose di cultura , che non disdegna di farlo vedere: difficile che in ogni suo discorso non citi grandi pensatori, come Hegel, come all'ultimo meeting di Comunione e Liberazione o quando ha tenuto il primo discorso alla Crysler. 


Al giornalista che gli chiedeva se ritenesse giusto il suo compenso, uno dei più elevati in Europa, in rapporto allo stipendio di un operaio, ci teneva a rimarcare che Lui lavorava 18 ore al giorno e che provassero i lavoratori a mantenere i suoi ritmi. Nessuno, credo, possa mettere in dubbio le qualità del nostro a.d. italo-canadese, che tenta di costruirsi un volto umano, che parla di "aprirsi alla globalizzazione", che parla di mega-strategie, ma anche di essere andato a vedere gli spogliatoi degli operai a Mirafiori, e, trovatili indecenti, li ha fatti risistemare. In effetti è difficile in 18 ore occuparsi di tutto. Per tenere certi ritmi sono necessari stimoli particolari: il guadagno, il desiderio di potere, l'ambizione, la soddisfazione del proprio lavoro e, soprattutto, come rimarcava a Rimini, ospite di comunione e Liberazione, per "costruire il paese che vogliamo lasciare alle prossime generazioni". Ed è appunto di questo che vorremmo parlare. Quale paese?


Quello che tiene sotto pressione con i suoi continui ricatti? Fino ad oggi ha condizionato le scelte sia del Governo che dei lavoratori, minacciando di spostare la produzione in altri paesi. E abbiamo cercato di capirlo, perché, e ci dispiace, concordiamo con lui che in Italia i politici parlano male e lavorano peggio. Ma, per cortesia, non usiamo termini trionfalistici sulla nascita di "nuove relazioni industriali", come si è gongolato di dire in televisione il ministro Sacconi; oppure il faccione sorridente di Bonanni, che si affretta a presentarsi davanti alle telecamere per dire ai lavoratori che c'è un sindacato che lavora per il lavoro e per loro ed un altro che pensa solo a distruggere. Noi  siamo certi che il ministro Sacconi abbia letto il rapporto  che Alain Supiot, insieme a molti altri studiosi di altri paesi, ha redatto per la Commissione europea, Il futuro del lavoro e che sia in completo disaccordo circa le "nuove relazioni industriali"ivi descritte, altrimenti ci dovrebbe spiegare cosa intende per "relazioni industriali". E al buon Bonanni ci piace far presente che, pur essendosi svolto un referendum fra gli operai sotto la minaccia del ricatto di trasferire la produzione in altri paesi, la Fiom e gli altri "distruttori del lavoro" hanno ottenuto il 49 per cento. Non ci interessa, almeno in questo momento, il ricatto di Marchionne alla Confindustria, che per non perdere uno dei maggiori contribuenti, sta correndo a fare le modifiche richieste pur di riaverlo nelle loro fila. 


Tutto questo era ieri. Si è brindato al futuro; si è osannato il coraggio di sindacati che capiscono le esigenze della globalizzazione; la politica ha tirato un sospiro di sollievo, altrimenti ci sarebbe stato il baratro; le forze politiche si sono schierate pro o contro, addirittura divise, come il Pd, scommettendo sull'uomo venuto dal freddo. Si sono scritte pagine di giornali sui modi bruschi, talvolta rudi, ma decisi di chi è abituato a comandare, mettendo in risalto, però, la parola data sui maxi investimenti futuri. Però niente conoscenza sulle strategie; nessuna risposta sulla perdita di mercato in Europa. Niente! Ci siamo fidati.


Ieri, tanto per tenere ancora sotto ricatto, quindi tenere caldi i propri interlocutori per ulteriori concessioni da ottenere, dichiara il possibile trasferimento a Detroit della Fiat. Il sindaco di Torino, Chiamparino, è nel panico e attende il ritorno di Marchionne per sapere esattamente come stanno le cose. Forse lo minaccerà di non giocarci più a carte! Il Governo, per voce del ministro Sacconi è rassegnato e, nell'incontro richiesto, chiederà che a Torino rimanga "almeno il centro direzionale europeo".  D'altronde Tremonti continua a dire che non ci sono soldi per una politica industriale adeguata e solo l'Italia ha potuto tenere vacante il ministero dello Sviluppo economico per dei mesi, quando ce ne sarebbe stato bisogno. Però il ministro ci ha tranquillizzati, perché ha garantito che l'esecutivo sta seguendo con attenzione l'evolversi delle cose e, comunque, la Fiat dovrà rimanere una ".multinazionale italiana". Sinceramente, se l'ha detto il ministro Romani, non vedo perché ci si debba preoccupare. La famiglia Agnelli, attraverso Maria Sole e Elkann, sminuisono la portata delle dichiarazioni del loro "conduttore", sapendo, comunque, che poco potranno fare per contrastarlo.  Anzi, dovranno preoccuparsi di mantenere il nome degli Agnelli in una fabbrica vanto dell'Italia e della loro famiglia. Forse, perché no, ricordarsi che l'Italia ha avuto dalla Fiat, ma la Fiat ha avuto tanto dall'Italia.

Continua la storia della distruzione dell'Italia industriale denunciata da Gallino in un suo libro e, se questa volta il "conduttore" è un ottimo manager, la politica la fa ancora da padrona a livello di incapacità e preveggenza. Anzi, non la fa neanche da padrona, questa volta deve dividere lo scettro con mediocri e litigiosi sindacalisti ( Bourdieu, che agogna un Movimento sindacale internazionale, siamo certi che non abbia una profonda conoscenza dei nostri sindacati).

Ma di Marchionne ci piace ricordare, parola per parola, ciò che ha detto durante l'incontro al meeting di Comunione e Liberazione "Il sistema italiano deve superare definitivamente il conflitto 'operai-padrone', ma soprattutto deve innovarsi, aprirsi alla globalizzazione, capire che non si può investire se i lavoratori non tengono fermi gli impegni assunti. Fino a quando non ci lasciamo alle spalle i vecchi schemi non ci sarà spazio per vedere nuovi orizzonti". Poi, riferendosi alle contestazioni seguite al licenziamento dei tre operai di Melfi, dice"Quella alla quale stiamo assistendo in questi giorni è la contrapposizione tra due modelli: uno che si ostina a proteggere il passato, l'altro che guarda avanti [...] Quello di cui c'è bisogno è un patto sociale per condividere impegni e sacrifici e dare al paese la possibilità di andare avanti, per costruire il paese che vogliamo lasciare alle prossime generazioni [...] Troppo spesso l'elogio del cambiamento si ferma  sulla soglia di casa. Dobbiamo scegliere il cambiamento che vogliamo, il nostro o quello dei nostri vicini di casa". Poi, citando Hegel, continua "La libertà è la 'prima garanzia che dobbiamo conquistarci' e la libertà [...] vuol dire anche trovare il coraggio per abbandonare modelli del passato, poiché le strade comode e rassicuranti non portano da nessuna parte".


Vogliamo concludere evidenziando quattro cose: la prima, che i lavoratori hanno sempre agognato un vero cambiamento, a partire dalla Rivoluzione industriale fino ai giorni nostri, ma dipende da che parte lo si vuol vedere o indirizzare e sempre si sono addossati i sacrifici; la seconda, che i lavoratori non hanno mai avuto la strada comoda e rassicurante e sarebbero ben felici di abbandonare "quel modello del passato"; la terza, che è lui che sta concedendo il cambiamento ai "nostri vicini di casa", spostando il centro direzionale a Detroit; la quarta, che sono i manager come Marchionne che sanno d'antico, anche se al posto della giacca e cravatta  indossano un semplice maglione di cachimire.

Nessun commento:

Posta un commento