domenica 13 febbraio 2011

LA MAGIA DEI NUMERI

Ho appena terminato di leggere il libro di Enzo Mattina, Elogio della precarietà, che, pur non condividendo molte delle sue analisi, ritengo un testo importante da leggere per chi è interessato allo studio del rapporto lavoro flessibile/precarietà e ciò al di là del provocatorio titolo.

Una delle cose che maggiormente mi ha colpito è l'enorme differenza statistica, fra i maggiori studiosi, del rapporto lavoro a tempo indeterminato e lavoro  atipico. Sembrerebbe, in prima analisi, una cosa da niente, invece è su certi dati che gli studiosi considerano la precarietà come "effettiva" o più "percepita" e, di conseguenza e a seconda dei propri pregiudizi, ognuno sostiene la sua tesi. 

Per Pietro Ichino, ma anche per Gallino, i lavoratori che portano tutto il peso della flessibilità di cui il sistema ha bisogno si aggirano sui 9 milioni. Per Tito Boeri e Pietro Garibaldi le stime si aggirano intorno ai 4,5 milioni di persone, mentre, per Enzo Mattina, non superano i 2,719 milioni. Quest'ultimo prende  e crede nei dati  del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, Segretariato generale, coordinamento delle attività statistiche, pubblicato nel 2007. Naturalmente a questi dati, anche se non fanno parte dei lavoratori, dovremmo aggiungerci il 29,8 per cento dei giovani NEET (se lo sono è perché l'eccessiva flessibilità li relega in tale condizione). Non voglio discutere sui numeri, specie se dati dal Ministero del Lavoro, al quale non credo per una convinzione di base, perché ha necessità di manipolare i dati per aggiustare i suoi interventi ma, utilizzando un famoso titolo di un libro di Gallino, osservo: quasi tre milioni vi sembran pochi? 

Il ministro Sacconi, di recente, si vantava che l'Italia avesse un tasso di disoccupazione al di sotto della media Ocse (2009), ma si dimenticava  di aggiungere che abbiamo la più alta percentuale di giovani NEET in Europa; ometteva di dire che l'Italia ha il drammatico e grottesco privilegio, nella fascia d'età 15-24, di avere un tasso di attività del 29,1 per cento, un'occupazione del 21,7 per cento e una disoccupazione del 24,4 per cento. Se compariamo questi dati con quelli Ocse, noteremo che il tasso di attività è esattamente la meta (Ocse = 48,5 per cento); il tasso di disoccupazione è 9 punti percentuali superiore ( Ocse = 16,4 per cento); e il tasso di occupazione è circa al metà (Ocse = 40,6 per cento). In pratica i giovani sono dimenticati! E, cosa ancor più grave, l'Italia, settima potenza economica, ha l'onore di essere terz'ultima dei paesi Ocse ( solo la repubblica Slovacca, l'Ungheria e la Spagna sono peggiori), senza contare che ha un particolare primato e cioè che la percentuale degli occupati è inferiore a quella dei disoccupati.

Si dimenticava o ometteva, il Ministro Sacconi, che la disoccupazione di lungo termine è fra le peggiori dei paesi Ocse ( 50 per cento), basti pensare che negli Usa è del 10 per cento. Inoltre i salari italiani sono agli ultimi posti tra quelli dei paesi avanzati. Dimenticanza o omissione? Nessuna delle due! E' solo "adattamento politico dei dati"! E' per questo che non credo, come Mattina, ai dati ufficiali e ritengo di credere a degli studiosi seri come Boeri, Ichino, Gallino e Garibaldi.

Un'altra magia dei numeri è la comparazione fra due insigni sociologi italiani, che ammiro in modo particolare: Aris Accornero, per il quale la precarietà è più percepita che reale, e Luciano Gallino, per il quale la precarietà è assolutamente reale. In S. Precario lavora per noi, Accornero ritiene che è a causa di una eccessiva flessibilità e della mancanza di adeguate tutele che si crea il senso di percezione della precarietà, in quanto i lavori atipici non vanno oltre il 45 per  cento del totale dei lavori. Gallino, invece, sostiene che la precarietà è molto sentita e reale, basti vedere che il lavoro ritenuto socialmente sicuro, il tempo indeterminato, è solo il 55 per cento. Entrambi danno le stesse percentuali, ma le guardano e le leggono con sensibilità diverse.

Due parole a proposito delle percentuali. Premetto che per una mia deficienza matematica ho una certa ostilità verso la statistica, pur ritenendola fondamentale per leggere e comparare i dati, ma a volte mi da la sensazione che liberi la coscienza dal conoscere a fondo la situazione. Parlare in "percentuale" è come una sorta di neutralizzazione dei sentimenti: si possono dire le cose, dare dati, analizzare le tabelle con un certo distacco e con una certa freddezza.  Un esempio per dare il senso di ciò che sostengo.

Ogni anno l'Ocse redige statistiche e compila tabelle sui tassi di disoccupazione, per fasce di età e per genere; per grado di studio e per durata ecc. Al termine, stila un sommario dove spiega cosa è successo, cosa si prevede, quali sono stati gli interventi nel corso dell'anno e quali dovrebbero essere. Ora, relativamente al 2009 scriveva : "nel corso degli ultimi due anni, fino al primo trimestre del 2010, l'occupazione è calata del 2,1 per cento nell'area Ocse e il tasso di disoccupazione è aumentato di poco più del 50 per cento fino a raggiungere l'8,5 per cento, ossia 17 milioni di nuovi disoccupati. Inoltre, applicando un metodo di misurazione più ampio che comprenda i lavoratori che non sono abbastanza attivi nella ricerca di lavoro e sottoccupati, si ottiene un risultato circa due volte superiore al tasso ufficiale di disoccupazione. " Conclude dicendo che tale situazione dovrebbe protrarsi fino al 2011.

Quando si parla di tasso di disoccupazione ci si dimentica di chi non è attivo nella ricerca del nuovo lavoro ( perché?), chi è scoraggiato e chi è sottoccupato. Ma la cosa che mi preme evidenziare sono i numeri: una leggera e impercettibile variazione percentuale porta al risultato di  17 milioni di nuovi disoccupati + 17 milioni fra sottoccupati, scoraggiati e non attivi nella ricerca del lavoro. Cifre da capogiro! 34 milioni di nuovi disoccupati e precari...pari alla popolazione del Belgio, Olanda e Norvegia! Quando Karl Marx a proposito dei disoccupati, parlava di "esercito di riserva", non poteva pensare che dopo 100 anni l'esercito si sarebbe trasformato in "nazioni di riserva". Al di là di ciò che pensavo della matematica, quest'ultima ha un suo linguaggio e se utilizzata in modo giusto da il senso delle cose.




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