venerdì 11 febbraio 2011

IL CORAGGIO DI CAMBIARE

Non amo particolarmente Marchionne, che rappresenta ciò che di più vecchio possa esserci in un manager. Non amo i manager che guardano soprattutto agli azionisti e a i loro dividendi, in tipico stile americano e tanto diversi dai manager giapponesi o tedeschi. Soprattutto non lo amo per il suo modo di porsi, minaccia e ritratta, avendo cura di lasciare comunque in sospeso le cose, tanto perché rimanga nell'aria quel velo di possibile minaccia, ipotesi della Fiat in Usa. Se non vado errato , gli azionisti Fiat sono quelli che hanno avuto i maggiori dividendi, rispetto agli azionisti di altre fabbriche di automobili europee, pur avendo perso, su tale mercato, il 17 per cento di vendite. Ma, ad onor del vero, se il nostro italico, si fa per dire, manager rappresenta il vecchio, è affiancato da una politica completamente assente: si pensi solo al Ministero dello sviluppo economico, che è stato vacante per diversi mesi e poi, tanto per metterci qualcuno, si è optato per una persona che a Bruxelles si occupava di fare lobbying per Mediaset; oppure che con un ritardo di otto mesi sulla tabella di marcia presenta un piano per la crescita che è un eufemismo considerare solo un piccolo passo, accampando scuse dovute a problemi interni al partito di Governo. Beghe certamente più importanti delle strategie necessarie per rilanciare la crescita economica del paese. Un Governo serio e che si vanta di definirsi "del fare" dovrebbe inidirizzare, sostenere  e spingere le aziende italiane attraverso politiche di indirizzo e sviluppo economico. Dovrebbe, per primo, fare impresa, non foss'altro per il fatto di essere l'occupatore di ultima istanza.

Ma un pensiero particolare va anche ai nostri sindacati, che sanno di antico e di stantio come i due precedenti protagonisti, che non hanno saputo rinnovarsi, rimanendo arroccati nella difesa di chi ha il lavoro e dimenticandosi i milioni di precari. Se non li trovano nelle fabbriche, non sono capaci di studiare strategie di avvicinamento diverse, magari nei circoli di quartiere, oppure, perché no, nelle feste rionali, facendo incontri in cui vengono descritte le strategie "pensate", da sottoporre al vaglio della gente che lavora, per trasformarle in strategie "decise". Si troveranno sempre meno lavoratori in fabbrica, e molti di loro si allontaneranno sempre di più. Perderanno il vitale contatto con la gente, soprattutto le perderanno  le giovani generazioni. Dovranno sempre più operare nel mercato del lavoro, magari mappando le tipologie di lavoro; i lavoratori richiesti e i lavori disponibili; far incontrare la domanda e l'offerta; facilitare il compito dei giovani, magari indirizzandoli nelle scelte. Dovranno studiare strategie nuove per diventare visibili anche ai lavoratori che lavorano saltuariamente e facendo sentire la loro protezione. Leggo e sento molti giovani che lamentano la distanza dei sindacati, la loro latitanza, specie nelle piccole /medie aziende. Ho seguito per mesi un sito su facebook e il 70 per cento delle persone che avevano perso il posto si lamentavano dell'assenza o inconsistenza dei sindacati. Bisogna che il sindacato ripercorra la strada e abbandoni gli uffici. Dovrà darsi anche una veste nuova e, personalmente, non disdegnerei la co-gestione alla tedesca. Dovranno esserci poche e inderogabili regole, alle quali, tutti indistintamente, dovranno attenersi, ma sarà sempre più necessario guardare all'impresa, nella sua specificità. Non sarà sempre possibile stabilire regole nazionali, valide per ogni realtà, ma, da poche regole inderogabili, si dovrà scendere nelle varie diversità aziendali. Il sindacato avrà l'onere di essere l'organo di indirizzo per i delegati sindacali, qualora necessitino di suppporto; dovrà essere il controllore che le trattative non portino i salari al ribasso; dovrà supportare che non avvengano situazioni di dumping, dovrà dare il supporto necessario, qualora richiesto, nelle operazioni di co-gestione aziendale. Se non ci indirizzeremo verso un nuovo modo di porsi nella gestione delle aziende, sarà sempre più difficile fare la concorrenza a fabbriche dislocate in paesi in via di sviluppo, almeno fino a quando organi internazionali (Fmi, Omc ecc)  e i vari governi nazionali non intervengano a far rispettare le elementari norme di comportamento etico delle multinazionali, che operano in paesi in via di sviluppo e che accettano, anzi, benedicono la mancanza di quelle tutele che violano i più elementari diritti dell'uomo.

Certo, dovremo cambiare anche noi lavoratori e dovremo renderci conto che il lavoro sta cambiando, che il mondo sta cambiando, e che i trent'anni gloriosi, in cui si era raggiunto la quasi-occupazione completa, non ci sono più. Oggi il capitale ha interesse a contrapporre i due terzi dei lavoratori dei paesi in via di sviluppo, con stipendi da fame e tutele inesistenti, al terzo dei lavoratori dei paesi occidentali, che hanno stipendi e tutele migliori. Ciò porta i lavoratori occidentali ad essere più "costosi", quindi, per una elementare legge economica, vengono sempre meno richiesti nel lavoro.  Per contrapporre i minori costi della parte più povera del mondo, non ci rimane che puntare sulla qualità e su lavori con grande spessore qualitativo. Un elemento fondamentale per lavorare sulla qualità è la sicurezza del posto di lavoro, perché è difficile chiedere qualità ad un lavoratore che sa di lavorare solo qualche mese o qualche giorno. Ma non può esserci, oggi, sicurezza del posto di lavoro se non c'è coinvolgimento, partecipativamente o cooperativamente, alla gestione delle imprese. Ma è difficile chiedere partecipazione quando c'è chi decide e c'è chi ubbidisce. Partecipazione vuol dire condividere, conoscere e decidere insieme. Insieme si potrà anche decidere di ridurre lo stipendio nei momenti di crisi o aumentarlo nei momenti di crescita; insieme si possono studiare strategie di crescita che coinvolgano tutti e tutti saranno interessati al raggiungimento degli obiettivi. L'accordo firmato alla volkswagen ne è la dimostrazione, visto che stanno preparando l'entrata dei lavoratori come azionisti. In termini pratici vuol dire che i lavoratori, garantiti dalla rappresentanza sindacale nell'organo di controllo dell'operato del manager e, inoltre  partecipa all'elezione del management, avranno tutto l'interesse affinchè l'azienda vada bene; decideranno insieme ciò che è megliofare e se saranno necessari dei sacrifici. certo è che al momento attuale e con la ditta che sta lavorando bene, ogni lavoratore si troverebbe in tasca un dividendo di 2000 euro/anno. Allora l'incidenza della manodopera non sarà più così  onerosa, come continuano a farci credere. Insieme è possibile raggiungere traguardi molto più ambiziosi, perché l'insieme è superiore alla somma delle singole parti. Ai giovani dobbiamo dare una speranza nel futuro ed è a loro che dobbiamo guardare ed è loro che dobbiamo coinvolgere, prima ancora che diventino vecchi senza essersi realizzati.

Un obiettivo importante che dovrà essere raggiunto, dovrà essere quello di permettere ad ogni lavoratore di "portare al lavoro se stessi" (Florida) Certo il lavoro da fare è notevole, forse perfino utopico, d'altronde però, come disse una voltaVictor Hugo "L'utopia è la verità di domani".






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