domenica 21 agosto 2011

L'Occidente e la crescita al di sopra delle possibilità

Se avete del tempo e anche un po di voglia, vorremmo suggerirvi la lettura del libro di Marco Panara, La malattia dell'occidente, perché il lavoro non vale più. Forse non è una lettura da ombrellone, ma merita, per la sua fluidità descrittiva e per l'intensità delle cose trattate, di essere inserito fra le diverse letture che vi accingerete a fare. Infondo, chi l'ha detto che d'estate si debba leggere per forza libri leggeri. 
Di seguito faremo una libera descrizione di alcune parti, senza virgolettare o sottolineare le parole dell'autore, perché il nostro intento è quello di far apprezzare un libro che ci ha fatto piacere leggere. Ciò che scriveremo, anche se a volte con nostre parole, non ha niente di esclusivo, ma appartiene all'autore, per cui ci assumiamo la responsabilità di ciò che scriviamo, se ciò non risponde a quanto asserito dall'autore, perché l'intendimento è di dare merito ad un ottimo giornalista e scrittore.
Ormai è arrivato i tempo che l'Occidente prenda atto cha ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità, facendo leva sui debiti accumulati per poter accrescere o mantenere l'elevato tenore di vita, che aveva conquistato con il lavoro e che non poteva più permettersi per la progressiva perdita di valore del lavoro. Fino a poco tempo fa era al lavoro che si affidava la realizzazione delle proprie aspirazioni, la propria collocazione nella società e, a quest'ultima, veniva offerto il proprio contributo. Il lavoro ha perso la centralità nel progetto di vita e si sono cercate le soddisfazioni nel privato, grazie anche all'economia low cost, che se offre servizi a basso costo non è solo per le sue strategie organizzative, ma anche perché paga meno i lavoratori. I minori salari spingono le persone a trovare la fortuna al gioco, con le varie schedine, gratta e vinci, lotterie oppure si cerca la fortuna, con la speranza di guadagnare, con l'Apparire facendo in modo di richiamare l'attenzione di una telecamera o attraverso esistenti qualità, oppure, tristemente, attraverso il non-talento, unicamente offrendoci al pubblico guardone, facendo chilometriche file per partecipare  alle selezioni per veline o  Grande Fratello.
L'aumento dell'individualismo, tanto caro alla Thatcher, a Regan e a Berlusconi, ha preso il sopravvento, frammentando la società ed esaltando l'ideologia dell'ognuno per se. Ciò ha fatto perdere il consenso necessario per fare scelte innovative e coraggiose, necessarie per elevare la collettività e per migliorare la vita di tutti e di ciascuno.
L'odio per le tasse è il simbolo eclatante di tale atteggiamento. Certo, a nessuno è mai piaciuto pagarle, ma vi era, almeno, la sensazione di partecipare ad un progetto in cui la consapevolezza della necessità di pagarle era a fronte di potenziare beni e servizi comuni. Delegittimare il prelievo fiscale non solo è la negazione della messa in comune di risorse per soddisfare interessi comuni, ma vuol dire anche erodere il potere dello Stato, in quanto, prima è stato giustamente spinto fuori dall'economia (quando non richiamato per tappare i buchi fatti dai privati), poi dalle regole e dai controlli, quindi dall'investimento in beni collettivi e, infine, dalla gestione del welfare.
Se il lavoro perde valore, allora la spinta vero il denaro, a qualsiasi costo e di fronte a qualsiasi rinuncia, diventa il nuovo idolo. In un recente passato, il lavoro è stato la leva per lo sviluppo e per la conquista, la costruzione e il consolidamento della democrazia. Attraverso il lavoro si sosteneva la famiglia  e se stessi, si tendeva a migliorare il proprio tenore di vita, dare ai figli l'istruzione per il desiderio di offrire loro la possibilità di salire almeno un gradino della scala sociale. Purtroppo, per molto tempo non si è capito, in Occidente, che la vera malattia da cercare era la perdita di valore del lavoro, perché l'attenzione era concentrata sulla disoccupazione e perché l'attenzione il ricorso al debito, pubblico e privato, nascondeva il problema. La disoccupazione è uno dei modi per cui si concretizza la perdita di tale valore: se il numero dei disoccupati aumenta e i salari di chi lavora non aumentano, allora il valore prodotto dal lavoro diminuisce. L'altro meccanismo è la diminuzione del potere di acquisto dei salari a parità di occupazione, che è ancora più pervasiva e subdola, perché colpisce ampie fasce di popolazione. Il terzo elemento di diffusione di tale malattia è  l'utilizzo di molteplici tipologie di lavori precari, per lo più utilizzati nei servizi, a più basso valore aggiunto e a più basso salario, raggiungendo l'assurdo di avere più occupazione e maggiore riduzione del valore lavoro.
Oggi ci troviamo a dover risolvere due grossi problemi: come ridare valore al lavoro e, contemporaneamente, trovare soluzioni alla sostenibilità del nostro sistema e del nostro tenore di vita. Le imprese, per far fronte alla concorrenza internazionale, tendono a diminuire i costi: quelli del lavoro, esigono una minore pressione fiscale e minori oneri derivanti dal welfare.
Per quanto concerne il lavoro, ormai sono più di vent'anni che hanno utilizzato ogni forma: delocalizzazioni, licenziamenti, fusioni ecc.
La riduzione delle tasse, almeno a breve e medio termine, sarà difficile, considerati i disastrosi conti pubblici. Quindi rimane il welfare, che nei prossimi anni sarà l'obiettivo principale, anche perché la privatizzazione permetterebbe un ottimo business per molti privati.
E' evidente che se il reddito da lavoro prodotto complessivamente in un paese diminuisce o non cresce, il finanziamento del welfare diventa difficile. Non dobbiamo dimenticare che il welfare è una componente importante del nostro tenore di vita, oltre ad essere una grande conquista del secolo scorso.
Un altro elemento che compone il tenore di vita è dato dai beni comuni, anch'essi a rischio: le infrastrutture, la sicurezza, la giustizia e la qualità delle nostre città e paesi.
Certo, il problema è dato dalle attuali risorse ( e anche future!), già impegnate per risollevare banche e tenere in piedi le economie piegate dalla crisi, quindi non è difficile pronosticare un futuro grigio. Se poi guardiamo dal lato della componente privata del nostro tenore di vita,  non si  può non constatare che per una parte rilevante della popolazione il reddito da lavoro è stagnante o in declino, quindi il futuro diventa nero.
Il nostro sistema, fatto di welfare e di elevato livello di consumi non è sostenibile. Bisognerà razionalizzare, tagliare e ridurre. Ma se razionalizzare può essere utile e un po di sobrietà in più può addirittura migliorare la nostra qualità della vita, pur riducendone il tenore, bisogna fare attenzione, perché farlo oltre una certa soglia potrebbe diventare un trauma, che se da individuale diventa sociale, è assai difficile reggere senza contraccolpi per la collettività, le relazioni e la pace sociale, e per la democrazia stessa.

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