venerdì 18 marzo 2011

VIVA L'ITALIA: uno Stato senza Nazione

Abbiamo festeggiato i 150 anni dell'Unità d'Italia si è cantato e suonato l'Inno di Mameli, si sono esposte le bandiere tricolori ai balconi, forse non molte, ma non c'è sembrata una celebrazione degna di tale ricorrenza. C'è venuto in mente il libro dell'ex Presidente della Repubblica, Azeglio Ciampi, Non è il paese che sognavo. E' vero, non è il Paese che sognavamo. 

Don Ciotti, fondatore di Libera, in un'intervista su Repubblica di stamani dice: "L'Italia non è divisa, ma diseguale, e sono le disuguaglianze a creare divisione"  e continua asserendo che è compito nostro fare in modo che la Costituzione diventi cultura e costume del paese e che la Chiesa non deve essere prudente a denunciare ciò che è amorale o non eticamente corretto. Noi stimiamo e amiamo don Ciotti, ma siamo talmente presi dall'ordinario malessere che ci pare vederlo come un buon Savonarola o un fantastico don Chisciotte. E più lo seguiamo nelle sue vicende, nelle sue interviste o nelle sue manifestazioni, più ci sembra fuori del tempo. Deve essere spinto da qualcosa di veramente forte, per dedicarsi con tale intensità contro la mafia e per un'Italia migliore; ci deve essere qualcosa che lo imbottisce di così tanta energia per continuare a lottare e credere e denunciare. Ma anche lui, come noi e come tanti altri, contro cosa combattiamo, a chi ci aggrappiamo e con chi combattiamo per poter avere un paese nel quale l'ingiustizia diventi un'eccezione? Non certo la Chiesa, forte con i deboli e timorosa con i potenti, perché la moralità e l'etica vengono dopo il potere temporale: tutto ha un prezzo, altrimenti come spiegare la guerra a Zapatero e la benedizione a Berlusconi, se non perché il primo, moralmente ineccepibile, ne intacca le basi e, il secondo, moralmente discutibile che, prostrandosi per voti, lo sostiene. C'è più moralità e senso della famiglia in Zapatero che in questo governo.
Caro don Ciotti, il nostro è un paese sempre più diviso, uno Stato senza Nazione, dove la maggioranza governa per se stessa e l'opposizione non c'è. E' impossibile combattere qualcosa se non ci sono le armi e i mezzi adeguati; se il senso dell'altro è un qualcosa di trascendentale; se l'extra comunitario si utilizza come uno strumento usa e getta; se non esiste più il valore sociale del lavoro, con tutte le conseguenze attinenti, come la famiglia, il vicinato, la solidarietà ecc.; se i giovani sono un peso e non una risorsa; se la cultura è un costo e non un valore. Soprattutto se invece che Italia si parla sempre di Nord, Centro e Sud, come entità separate, come mondi diversi, come separati in casa.
Non può esserci Nazione se nell'agenda di chi governa sono più importanti le questioni personali del premier e non le pene dei cittadini, che sono senza lavoro, che non arrivano a fine mese, che hanno figli senza futuro, che non riescono a pagarsi il mutuo o l'affitto, che vedono partire i loro giovani alla ricerca di lavoro in paesi stranieri. Come può combattere la mafia o la delinquenza se questo governo crea e sviluppa l'acquitrinoso terreno in cui maggiormente si sviluppa la criminalità?
Come può diventare la Costituzione cultura e costume del paese, elemento fondante di condivisione di una Nazione, se ogni giorno chi governa ne mina le basi? O se ogni giorno vengono ignorati i più elementari diritti della persona: il diritto al lavoro, il diritto ad una vita dignitosa, il diritto alla sanità, il diritto allo studio e, soprattutto, il diritto di sentirsi cittadini della Nazione Italia.
Come possiamo essere Nazione se ieri, al discorso del Presidente della Repubblica alla Camera, erano presenti solo cinque esponenti della Lega, e solo per ovvi e obbligati motivi (eppure tutti quei signori prendono lauti compensi che pagano anche i nonleghisti); se durante il discorso, Bossi e Tremonti parlavano continuamente incuranti del più elementare rispetto verso il Presidente; se il ministro Calderoli si presenta in tenuta claunesca; se il figlio di Bossi, che, per rispetto dei pesci, non chiamiamo con l'usuale epiteto, esce dalla sala consiliare quando inizia l'inno di Mameli; se il ministro Prestigiacomo, in un fuori onda, esorta i convenuti a non parlare più del nucleare per non perdere voti e non per i possibili pericoli; se il premier, per l'ennesima volta, significa il suo disinteresse con plateali sbadigli. Si ricorderanno i festeggiamenti solo per la contestazione al premier, che è dovuto fuggire attraverso una porta secondaria della chiesa in cui era intervenuto per una funzione; si parlerà delle contestazioni al ministro La Russa e al sindaco di Roma, Alemanno; questo, almeno, è ciò che maggiormente ha riempito le pagine dei giornali. Fortuna vuole che sono ancora la maggioranza coloro che credono ancora nell'Italia. Certo è difficile sperare di diventare una vera Nazione se invece di risposte si preferiscono proclami elettorali, come per gli operai di Termini Imerese, che sanno già di perdere lavoro a fine anno; per gli operai della Vynils, che continuano ad arrampicarsi sui tetti e sulle cisterne per protestare; per tutti i lavoratori in cerca di lavoro; per i giovani precari, non dandogli la possibilità di credere in un futuro; per i giovani laureati, non costruendo lavori adeguati per sfruttare positivamente le loro enormi e giovanili capacità; per frenare la fuga dei nostri migliori cervelli; per ridare dignità e rispetto alle famiglie.
Ci sono due questioni che rischiano di diventare pericolose mine: la prima, riguarda il tentativo del nostro premier di assoggettare l'unico potere che non riesce a controllare, quello giudiziario; la seconda  riguarda il senso di incertezza, sfiducia e mancanza si stabilità, che rischiano di causare un malessere sociale, che sfocerà, prima o poi, in violenza. 
Vede don Ciotti, siamo su sponde diverse, ma lungo uno stesso fiume e se vogliamo tentare di mantenerlo entro gli argini, dobbiamo cercare di tenerli puliti, dobbiamo monitorare continuamente il livello dell'acqua, dobbiamo costruire delle possibili vie di sfogo, altrimenti, se fuoriesce, sicuramente farà disastri. Ecco che cos'è la Costituzione: il letto di questo fiume. 
Noi abbiamo necessità di tanti osservatori e manutentori degli argini, anonimi e solerti volenterosi; abbiamo bisogno di vecchie esperienze e giovani forze, che non rimarranno nella storia, ma faranno grande il Paese. Fra 50 anni, ai festeggiamenti del bicentenario, si parlerà, forse, della Nazione Italia e, forse "donchisciottamente", in cuor nostro speriamo che questi tristi anni di mal governo saranno solo un brutto ricordo; forse ci sarà una nuova e giovane forza politica, capace di costruire un paese, una nazione, dove giustizia e uguaglianza saranno pane quotidiano. Allora, e solo allora si potrà cantare l'inno all'Italia.







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