domenica 20 marzo 2011

LAVORO FLESSIBILE E OCCUPAZIONE

In tutto il mondo le imprese si sono impegnate ad utilizzare la minor quantità possibile di mano d'opera, preoccupandosi di aumentare a dismisura la produttività del lavoro. sviluppando, parallelamente, strategie di utilizzo dei lavoratori nella quantità necessaria per soddisfare la domanda a breve termine. E in ciò sono state aiutate dalle sempre più sofisticate tecnologie dell'automazione, dell'informazione e delle telecomunicazioni, senza contare che i nuovi modelli organizzativi, come la produzione snella, la Qualità totale e le ristrutturazioni aziendali hanno dato una sensibile mano a rendere più flessibile sia la produzione che l'occupazione.

Sempre più viene esternalizzato il lavoro, addirittura interi settori di azienda vengono portati all'esterno per diversificare il rischio e per gestire meglio un mercato sempre più nevrotico. Frequentemente vengono utilizzate figure esterne, autonome, che possono essere lasciate a casa qualora manchino p diminuiscano le commesse di lavoro. Gli economisti tedeschi parlano di una società dei due terzi, ma si attendono che presto diventi la società di un terzo (Bauman). In pratica, oggi,  tutto ciò che serve è prodotto dai due terzi della popolazione attiva e molto presto dovrebbe bastarne un terzo. E gli altri? Alcuni studiosi ritengono che i lavori socialmente definiti sicuri sul totale degli occupati non superi il 55 per cento.
La speranza è che l'aumento dei lavori flessibili sia una caratteristica del mercato del lavoro mondiale e che si tratti di una conseguenza dovuta all'economia divenuta planetaria, e che sia presumibile, in un prossimo futuro, che raggiunga un certo equilibrio, altrimenti non è azzardato pensare che il senso di insicurezza prodotta, unito al tasso di angoscia collettiva che ne deriva "è stato il motore di alcuni dei più violenti movimenti sociali della storia, di sinistra come di destra" (Gallino).
Se il mondo opera come un solo grande mercato, è evidente che ogni lavoratore  competerà con tutti quelli che al mondo sanno fare il suo stesso lavoro, per cui ciò porterà alla riduzione forzata dei salari, perché ci saranno sempre lavoratori dei paesi in via di sviluppo disposti ad offrire la loro mano d'opera a minor costo, obbligando i lavoratori dei paesi più ricchi ad adeguarsi o a vedersi ridurre il lavoro.
Attraverso le relazioni interpersonali o attraverso le facilitazioni, economiche o di utilizzo delle telecomunicazioni, viene offerta ai lavoratori dei paesi in via di sviluppo la conoscenza di paesi in cui la retribuzione è migliore, dove le condizioni di lavoro sono più umane e, soprattutto, dove vi sono maggiori possibilità di realizzarsi. Da qui nasce l'imponente flusso migratorio con i suoi effetti contrastanti. Gli immigrati accettano qualsiasi lavoro, dal più faticoso fino a quello ritenuto meno gratificante da un punto di vista sociale, che i locali non vogliono fare. Eppure, anziché considerarli come lavoratori che contribuiscono al funzionamento dell'economia del paese di arrivo, spesso sono considerati come coloro che "rubano il lavoro". Indubbiamente a ciò concorre il fatto che insieme a immigrati con un certo livello di istruzione, si sono spostati una elevata quantità di immigrati privi di istruzione, che entra in competizione con i lavoratori locali, anch'essi privi di istruzione ma meglio pagati, i quali devono competere su un mercato del lavoro che ha a disposizione lavoratori disposti a farsi diminuire il salario pur di lavorare. E ciò provoca pericolose tensioni sociali.
Tra l'altro non si tiene conto e quanto sia fonte di preoccupazione il danno che viene creato ai paesi in via di sviluppo, a seguito delle forti migrazioni dei loro giovani istruiti o, comunque, delle loro giovani forza-lavoro, necessarie per il loro sviluppo. L'occidente avrebbe interesse a impegnarsi in iniziative per promuovere lo sviluppo dei mercati, dell'apparato produttivo e delle infrastrutture dei paesi poveri: maggiori investimenti, minori interessi sui debiti, riduzione delle barriere doganali, massicci aiuti per la costruzione di strutture scolastiche e per programmi di formazione. Tutto ciò avrebbe delle buone ricadute anche per i paesi occidentali, in quanto si accrescerebbero mercati nuovi per le proprie merci e minori tensioni internazionali.
In Italia il mondo politico, economico e imprenditoriale continua insistentemente a richiedere maggiore flessibilità, per essere all'altezza degli altri paesi avanzati e per reggere la sfida della competitività. Sostengono che il lavoro flessibile, naturalmente inteso come maggiore possibilità ai licenziamenti o all'accrescimento dei lavori temporanei, anche se non espresso esplicitamente, favorisca l'occupazione.  Bisogna intendere bene che cosa significhi più occupazione, perché se la maggior occupazione non aumenta il monte ore lavorato, vuol dire che si è solo distribuito su più persone le stesse ore lavorative, in quanto le statistiche utilizzate per l'analisi del numero effettivo degli occupati non danno conto dell'effettiva situazione, in quanto i metodi di rilevazione utilizzati sono imprecisi o utilizzati in modo disomogeneo e senza tener conto di diversi parametri.


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