domenica 6 marzo 2011

E' POSSIBILE UNA GLOBALIZZAZIONE DAL VOLTO UMANO?

Il mondo opera come un grande mercato del lavoro, in cui un certo lavoratore di un certo articolo, fatto in un paese europeo, entra in diretta concorrenza con un lavoratore dello stesso articolo prodotto in un estremo paese dell'Asia. Ormai il mondo è diventato piccolo, tanto che si può parlare di "vicinato globale", come asserisce Luciano Gallino. E' necessario capire che cos'è la globalizzazione, se crea o meno opportunità nell'ambito dell'occupazione, se riduce la povertà e se migliora la qualità della vita, insomma, se crea vere opportunità di crescita economica e, soprattutto, se è possibile, come sostiene Gallino, una "globalizzazione dal volto umano".
Se partiamo dal 1980, anno in cui si da come inizio della forte accelerazione del processo di globalizzazione, bisogna prendere in esame tutti quegli aspetti positivi che si sarebbero dovuti avere e decantati da chi la ritiene come un processo che reca solo benefici, in quanto favorisce le crescita economica, riduce la disoccupazione e aumenta la produttività, confrontandoli con il periodo precedente ( gli anni '50-'60 del secolo scorso), utilizzando i dati consegnati dall'Ocse.
In riferimento alla crescita del prodotto interno lordo, si evidenzia che negli anni'50 e '60 il tasso di crescita era intorno al 5%, negli anni '80 e '90 era sceso al 3,2% e successivamente poco sopra il 2%, fino al crollo del 2009, per cui a seguito della de-regolazione dei mercati interni si è avuto un netto peggioramento. Per non parlare della disoccupazione che, in Europa, ha rivisto il ritorno della disoccupazione di massa, dopo che negli anni '60, nei paesi dell'Ue, era scesa al 2%. Nell'autunno de 1999 le persone in cerca di lavoro erano 15,4 milioni, mentre nel 2009 sono salite a 17 milioni ( senza contare i non-occupati, gli scoraggiati ecc., perché la cifra salirebbe a due volte al tasso ufficiale di disoccupazione). Se poi passiamo dai paesi più avanzati al resto del mondo, allora si scopre che la disoccupazione non ha mai raggiunto i livelli come nell'epoca della globalizzazione. Infine la produttività   nei paesi industrializzati, si è praticamente dimezzata negli anni 1980-95, rispetto al 4% del 1950-73, per poi risalire solo a fine anni '90. C'è inoltre da evidenziare il forte aumento delle disuguaglianze di reddito tra la popolazione più ricca e la popolazione più povera, senza dimenticarci il degrado economico, sociale e culturale, e talora l'annichilimento fisico, di innumerevoli comunità locali, a seguito del processo di inurbamento.
A fronte degli effetti perversi della globalizzazione si è ipotizzata una global governance, un insieme di regole, stipulate a livello locale, nazionale e internazionale, coinvolgendo associazioni economiche, organizzazioni internazionali, sindacati ecc. 
A metà del 1990 si costituì, all'Onu, la Commission on Global governance (CGG), che nel suo primo rapporto scrive: La governance globale, che una volta si riteneva riguardasse primariamente le relazioni intergovernative, oggi coinvolge non soltanto i governi e le istituzioni inter-governative, ma pure le organizzazioni non governative (ONG), i movimenti dei cittadini, le corporazioni transazionali, le università e i mass media. L'emergenza d'una società civile globale, nella quale molti movimenti sono tesi a rafforzare un senso di solidarietà umana, riflette un grande aumento della capacità e volontà delle persone di prendere il controllo della propria vita [...] La governance globale non implica un governo mondiale e nemmeno un federalismo mondiale. Una efficace governance globale richiede una nuova visione, la quale sfidi le persone e al tempo stesso i governi a rendersi conto che non c'è alternativa al lavorare insieme per creare il tipo di mondo che esse vogliono per sé medesime e per i loro figli".
A fronte di ciò fu proposta la costituzione di un Consiglio per la sicurezza economica, che mai, di fatto, ha preso l'avvio, e nel frattempo gli effetti perversi sono continuati. L'efficacia della Commission on Global Governance è legata a due aspetti: il primo è dato dal poco peso politico ed economico delle Nazioni Unite e nell'astrattezza delle sue linee programmatiche; il secondo aspetto riguarda la mancanza di obiettivi concreti, anche se difficili da raggiungere, ma evidenti  e sottoposti a misurazione e comparazione.
Luciano Gallino propone degli obiettivi concreti per un'efficace global governance: ridurre lo squilibrio degli attuali rapporti tra l'economia finanziaria e l'economia reale, controllando i movimenti internazionali dei capitali e principale freno sia per l'occupazione che la crescita e lo sviluppo; ridurre le disuguaglianze internazionali e nazionali, ciò eviterebbe la nascita di conflitti a causa dell'insicurezza economica, oltre al vantaggio che avrebbero le imprese se un'aumentata quantità di persone potessero accedere ai beni e servizi da loro prodotti; assicurare una reale concorrenza fra le imprese; migliorare i contenuti qualitativi dello sviluppo economico, cominciando dalla loro misurazione in termini traguardi raggiunti; promuovere lo sviluppo locale.
Dare degli obiettivi certi e misurabili è molto importante, ma è altresì importante chi deve mettere in atto una tale governance e chi debba spingere, sollecitare e premere per ottenere una globalizzazione dal volto umano. Ci sono, oggi, istituzioni e organizzazioni internazionali che dovrebbero attivarsi a tal fine, come la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, la Commissione europea e l'Organizzazione mondiale del commercio, unitamente ad altre organizzazioni regionali, nazionali e internazionali. Per quanto concerne la spinta e la sollecitudine deve venire dai cittadini, dai sindacati, dagli imprenditori e dalle organizzazioni non governative, perché, come scrive Gallino " se vi è qualcosa di drammatico nei processi di globalizzazione, ciò è appunto la mancanza di discussione; o, per essere più precisi, la mancanza di partecipazione democratica". 

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