giovedì 26 aprile 2012

Rigore e iniquità

Robert Stiglitz, premio Nobel per l'economia, in un' intervista al The European.de, asserisce che "Le politiche di recessione ci stanno portando verso una doppia recessione". Nella lunga intervista, della quale riportiamo brevi stralci, esamina i problemi che affliggono l'Europa e l'America come conseguenza di scelte strategiche sbagliate, sostenendo che "Gli economisti accademici hanno giocato un ruolo importante nel causare la crisi. I loro modelli erano eccessivamente semplificati, distorti, e trascuravano gli aspetti più importanti. Questi modelli sbagliati hanno incoraggiato i politici a credere che il mercato avrebbe risolto tutti i problemi [...] nel mondo accademico, quelli che credevano nel libero mercato prima della crisi ci credono ancora".
 Pochi sono stati quelli che hanno rivisto le loro posizioni, anzi, specie in Italia, hanno rafforzato il loro convincimento e basti guardare alla politica del massimo rigore, incentrata soprattutto sulla tassazione, senza, per altro, incidere minimamente sulla distribuzione del reddito.
"In Germania e in Francia sono in discussione la tassa sulle transazioni finanziarie e i limiti alle remunerazioni dei vertici aziendali. Sarkozy dice che il capitalismo non ha funzionato, Merkel che siamo stati salvati dal modello sociale europeo, e sono entrambi politici conservatori! I banchieri questo non lo capiscono, il che spiega perché ancora vediamo il vertice della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, spiegare che si deve rinunciare al sistema di welfare mentre la Merkel sostiene l'esatto opposto: che il modello sociale ci sta salvando dopo che le banche centrali hanno fallito nel fare il loro ruolo di regolatori e hanno usato le loro politiche per cambiare la natura delle nostre società".
I banchieri e i profeti del libero mercato sostengono che per tentare di ridurre il debito è necessario ridurre i costi del welfare nel lungo tempo, perché, purtroppo, "l'influenza del denaro aumenta sempre più, con conseguenze negative per l'economia e la società". Poco importa a questi signori che la maggior parte delle persone siano più povere di 15 anni fa e che un lunghissimo periodo di stagnazione abbia reso più povero un lavoratore a tempo pieno di oggi rispetto a quello di quarant'anni fa. 
Devono anche essere rivisti i parametri di valutazione del benessere generale, in quanto anche l'eventuale crescita economica non garantisce i criteri di equità sociale "Il sistema economico non è distributivo. Non importa se poche persone al vertice sono strapagate, quando la maggioranza dei cittadini non si è arricchita, il sistema economico non funziona". Si leggano gli stipendi dei super-manager, pubblicati ieri, per dare conto dell'assurda iniquità e della enorme disparità di trattamento: se un'azienda va male i lavoratori sono i primi a pagare e a subirne i danni, mentre manager come Jonella e Paolo Ligresti, pur responsabili del fallimento di Imco e Sinergia, quest'ultima "cassaforte" della famiglia Ligresti, si portano a casa un compenso di 2,51 e 2,14 milioni di euro rispettivamente; e pensare che la loro azienda ha perso 1,5 miliardi di euro in due anni. Ora, se cinquanta manager percepiscono compensi pari ad un anno di rimborsi elettorali, parlare di iniquità è un eufemismo, senza addentrarci all'interno dei manager delle grandi aziende di Stato, che si sono alzati il compenso del 30/40%, si vedano  l'Eni (Paolo Scaroni) e l'Enel (Fulvio Conti). E questo nell'anno in cui si pretende un taglio alle spese sociali per abbattere il debito pubblico, il che fa dire a Stiglitz: "Che è un'assurdità. La domanda di protezione sociale non ha nulla a che fare con la struttura della produzione. Ha a che fare con la coesione sociale o la solidarietà. Questo è il motivo per cui sono critico con la tesi di Draghi alla Bce, per cui la protezione sociale andrebbe smantelalta. Non ci sono basi su cui fondare un simile ragionamento. Gli Stati che meglio stanno facendo in Europa sono quelli scandinavi [...] La tesi per cui la risposta alla crisi passa da un allentamento della protezione sociale è davvero un argomento dell'1% che dice 'dobbiamo prendere una fetta più grossa della torta'. Ma se la maggioranza delle persone non trae benefici dalla torta dell'economia, il sistema è fallimentare".
Che il sistema sia fallimentare è appurato, ma quello che più sconcerta è l'atteggiamento dei partiti, soprattutto di sinistra, incapaci di muoversi e ben felici di cedere il passo a chi ritiene che il "libero mercato sia il giusto regolatore". La cosa che maggiormente sconcerta è quell'alone di "disastro perenne", unito alla necessità di dolorosi sacrifici concentrati sui lavoratori, salvaguardando l'élite, utile per gestire il "cambiamento", visto in un'ottica di minor libertà o, se si vuole, a certe condizioni. 
I migliori economisti, e non solo quelli Nobel, sembrano essere i nuovi rivoluzionari, dediti a combattere una finanza ormai padrona delle maggiori istituzioni mondiali. Si prendono iniziative dove la parola d'ordine è l'assoluta austerity e nessuno, neanche i partiti di sinistra, solleva qualche dubbio sulla possibilità che possano essere scelte inadeguate. Perché? Nessuno si pone la domanda "Perché non si tassano le ricchezze accertate, non si combatte fortemente l'evasione fiscale, non si fa la guerra a chi porta denaro nei paradisi fiscali; non si riducono drasticamente i compensi ai manager, sia privati che pubblici e ai politici? Insomma perché da una parte (lavoratori) si chiede sacrifici e non ci si preoccupa dell'avanzamento costante della povertà e del disagio sociale; mentre dall'altra sembra esserci una sorta di pudore a chiedere parità di sacrifici, specie a chi mai li ha fatti e, spesso, anche causa del depauperamento del Paese?" 
Al di là dei dati relativi alla disoccupazione, sia giovanile che matura, agli esodati, agli sfiduciati, alle donne, ormai ai margini del mercato del lavoro, sulla povertà crescente, sia relativa che assoluta o sui giovani che non studiano e non lavorano, che presentano ogni giorni dati in crescita, vediamo alcuni dati pubblicati in questi due giorni.
Secondo i dati Istat, gli stipendi non tengono il passo dell'inflazione: a marzo la differenza è del 2,1%, mai così alta dall'agosto del 1995. Per quanto concerne le retribuzioni, una crescita così bassa non si vedeva dal 1983.
Il ministro dell'Interni, Annamaria Cancellieri, si è detta pronta "a ridurre del 10% i dipendenti civili del ministero[...] si tratta di un'operazione che peraltro aiuterebbe il ministero a ringiovanirsi, e ne ha tanto bisogno. Per lo stesso motivo favoriamo anche mobilità all'esterno: chi vuole andare a lavorare in altri settori dello Stato può farlo". A parte la riduzione di ulteriori post di lavoro, come se non bastassero quelli che avvengono ogni giorno, è curioso che per ringiovanire si debba "mandare via o spostare", sempre che ci siano posti alternativi. Guarda caso le Poste italiane, che il 17 aprile hanno denunciato utili record da 846 milioni di euro, il giorno dopo annunciano che effettueranno una ristrutturazione del personale in tutto il Paese, che porterà a 12mila esuberi. Sarà difficile spostare un dipendente civile del ministero degli Interni alle Poste!
Difficile sperare in una ripresa se per la prima volta dal 2008 sono più numerose le imprese che ottengono meno credito di quello richiesto o non lo ottengono affatto (quasi il 37%). Chissà su cosa baserà la "crescita" il governo dei tecnici!
Il Cnel (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro), in un documento depositato in occasione dell'audizione sul Def scrive: "Monitorare la ricchezza per verificare la coerenza con il reddito e introdurre una patrimoniale ordinaria", ma il governo dice di no, asserendo che "Neanche il Fondo monetario internazionale  ci chiede di più di quanto fatto". Al di là di ciò che chiede il Fmi, che non è  certo un'istituzione sindacale, sembrerebbe logico trovare "denaro" dove c'è e, soprattutto, dove sarebbe giusto trovare, per finanziare la crescita o per accrescere la protezione sociale. Una così solerte attenzione non si è vista a proposito delle pensioni, dell'articolo 18 e dei giovani precari. Come il senso di opportunismo e delicatezza non si è avvisato, al di là dei modi e dei toni, nell'accademico Monti a proposito delle sue scelte di rigore unidirezionale, ma lo leggiamo a proposito di un possibile accordo con la Svizzera, come hanno fatto Gran Bretagna, Germania e Austria, per tassare i capitali non dichiarati e trasferiti nelle banche elvetiche e che potrebbero far incassare al nostro Paese ben 37 miliardi di euro. Tassare, licenziare, chiedere sacrifici oltre misura è lecito, ma toccare soldi illecitamente portati all'estero è necessario un comune accordo europeo. Ma di cosa? Di ritornare in possesso di soldi che appartengono al Paese? Che signore l'accademico Monti, quando si tratta di toccare i ricchi! Oppure si ha la paura di creare dei precedenti che scardinerebbero i templi della ricchezza illecita?
A fronte di quanto scritto e, soprattutto, l'incapacità di accettare che siano massacrate certe fasce sociali e salvaguardate altre, come sempre nella storia, ci fa venire in mente il libro di Naomi Klein, Shock Economy. L'ascesa del capitalismo dei disastri.
Attraverso la natura dello shock , ri-fare le persone, sconvolgerle per ridurle all'obbedienza. Il più famoso economista del nostro tempo, Milton Friedman, era un discepolo del potere dello shock : "Friedman ha capito che [...] lo shock dei disastri potrebbe servire per ammorbidire la gente fino ad accettare la sua massiccia radicale crociata per il libero mercato. Ha informato i politici che immediatamente dopo una crisi, loro dovrebbero spingere attraverso una serie di azioni dolorose, intese come polizze contro la capacità di riacquistare lucidità e fiducia in se stessi da parte della gente".
Un fatto, forse poco conosciuto e pubblicato dai media, è il caso dell'Argentina, che dopo le prove generali della teoria dello shock economico a seguito della crisi del 2001, gli operai si sono ripresi 200 fabbriche, attuando un braccio di ferro con banchieri, avvocati e giudici: "L'atto di riappropriarsi autonomamente del diritto al lavoro ha il valore di uno sconvolgimento della struttura stessa della globalizzazione". E' impossibile cancellare un "intero tessuto sociale per costruire da zero un'utopia, quella dell'ultraliberismo".
Ma l'attenzione non è mai troppa, specie se chi ci governa è un accademico!









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