venerdì 13 maggio 2011

La società flessibile

Sembra che la flessibilità sia diventata parte integrante della vita degli individui. Si parla di uomo flessibile, lavoro flessibile, tempo flessibile e, per certi versi, ci stiamo avviando verso una società flessibile, sempre attiva per tutte le ore della giornata e per tutti i giorni della settimana, dove il tempo non ha più senso, perché non esistono più pause che ne delimitano i confini. Pause necessarie, che separano il tempo del lavoro dal tempo di non-lavoro, tempo per la famiglia e tempo per la comunità.

Sembra che la vita cammini su una linea retta, dove non vi è né inizio e né fine; anziché in tanti segmenti, dove, in ognuno dei quali, vi sono porzioni di esperienza. Oggi la maggior richiesta di lavoro flessibile è fatta passare come servizi dati alla comunità, negozi sempre aperti per servire i clienti ad ogni ora e per ogni giorno; come incremento all'occupazione, sfruttando al massimo gli impianti produttivi per 7 giorni e per 24 ore al giorno; per non parlare di alcuni servizi pubblici, che non hanno più gli orari di sportello, ma sono accessibili ad ogni ora, basta avere un computer. pare che il tempo flessibile sia l'elemento centrale della società flessibile e ci viene in mente R.Sennett quando scrive: "il tempo della flessibilità è il tempo di un nuovo potere".
Ciò implica che si chieda all'organizzazione sociale di emulare l'organizzazione di un'impresa, che si adeguino gli orari dei negozi, dei mezzi pubblici, delle scuole, degli asili e della pubblica amministrazione ai vari orari della popolazione dei lavoratori. E si presume, date le tecnologie, che anche la pubblica amministrazione, centrale e locale, si conformerà al sistema organizzativo delle aziende, decentrando funzioni e servizi e, soprattutto, trasferendo all'esterno questi ultimi per ridurre costi e personale. 
Se, da una parte, tutto ciò può apparire come un miglior servizio, necessita, anzi, obbliga tutti, anche chi non ne ha i mezzi, ad adeguarsi alle conoscenze informatiche o tecnologiche richieste. E' solo un esempio, non generalizzabile, ma indica non solo la forzata necessità di imparare, ma, soprattutto, che ciò porta a perdere la disponibilità verso gli altri. Una signora extracomunitaria non sapeva utilizzare il distributore automatico per un certificato di residenza e, molto gentilmente, aveva chiesto l'aiuto ad un incaricato dell'anagrafe comunale, il quale l'ha liquidata maleducatamente urlandole di imparare l'italiano o di tornarsene al suo paese. Naturalmente ci siamo preoccupati di far intervenire un responsabile, evidenziando che sarebbe stato corretto che le istruzioni fossero almeno in più lingue, vista la presenza in città di molti extracomunitari; e, soprattutto, che il problema era generalizzato anche agli anziani e a tanti meno anziani, per cui sarebbe stato necessario, specie all'inizio, che almeno uno sportello rimanesse aperto come supporto alle persone in difficoltà. E' indubbio che il distributore è un buon servizio, ma se non è ottimizzato, se si pensa al lavoro perso dai vecchi impiegati, se poi crea anche arroganza e maleducazione verso chi non sa utilizzarlo, allora non è difficile rimpiangere le vecchie code, dove c'erano sì anche i furbi che volevano oltrepassare la fila, ma dove c'era anche una minima possibilità di socializzazione.
Se, come abbiamo visto, l'organizzazione sociale dovrà adeguarsi all'organizzazione di un'impresa, il progetto di una società flessibile richiederà sempre tipi lavoro flessibile, per permettere ai negozi di rimanere aperti e di gestire adeguatamente i picchi di lavoro, per cui ci sarà sempre più bisogno di lavoratori da utilizzare solo nei momenti che servono. Stessa cosa dovrebbe essere per gli insegnanti, per i medici, per i pubblici uffici, per cui si tenderà sempre più a ridurre i posti fissi e si obbligherà gli individui ad una formazione permanente, per poter avere facilità di inserimento in posti sempre diversi, perché solo questa e il possesso di esperienze acquisite mantengono elevato, ad ogni età, del tasso di occupabilità. In una società flessibile le regole che gestiscono il mercato del lavoro, e ancor più i sindacati, sono considerate un ostacolo allo sviluppo.
In Italia e in Europa i lavoratori sono sempre più polarizzati in due opposti: da una parte, sempre meno, i lavoratori che occupano i lavori qualificati, ad elevata autonomia, con salari alti e occupazione stabile, che rappresentano circa un terzo della forza lavoro; dall'altra, è la massa dei lavoratori temporanei, che rappresentano circa i due terzi, se non i tre quarti,  della forza lavoro, composta da tutte le tipologie di lavori atipici o, se sono a tempo indeterminato e a tempo pieno, per lo più sono lavori in somministrazione o i peggiori lavori che il post-fordismo abbia contribuito a creare. Per questi lavoratori le aziende non hanno interesse a investire, data la loro breve permanenza e, purtroppo, è in questa fascia che troviamo una grossa percentuale di donne, giovani lavoratori a bassa istruzione e immigrati. Ed è da questa fascia che non è infrequente trovare lavoratori che vivono sotto la linea della povertà relativa, la metà del reddito mediano pro capite, se non nella povertà assoluta.
Quando si valuta il tipo di società e il suo grado di accettabilità si usano parametri quali il livello di vita, il suo indice di disuguaglianza o il suo indice di sviluppo umano ecc., ma vi è qualcosa di più importante e cioè la natura e l'intensità della sua integrazione sociale, cioè il suo livello di coesione sociale. E ciò non sembra essere caratteristica fondamentale di una società flessibile.
Ora, affinché ciò diventi possibile sono necessarie delle condizione base, come la durata delle relazioni stabili e la necessità di determinate ritualità. In una società flessibile, dove il lavoro, che è il primo fattore di integrazione, è assolutamente discontinuo, dove i tempi di lavoro e non-lavoro sono sempre più intersecati e dove il tempo flessibile non aiuta certo a relazioni sociali stabili, rimane difficile pensare che si possa cementare un prerequisito fondamentale per l'integrazione sociale. Se poi la diversificazione dei tempi di lavoro toglie il riposo settimanale in comune, il trovarsi a tavola con i familiari o amici, se non si ha il tempo per partecipare alle feste patronali, rionali a anche alle banali partite tra amici, com'è possibile sperare di trovare la coesione sociale?
Quello che il quotidiano ci presenta non ha le caratteristiche di una buona qualità della vita e di una società desiderabile, semmai quello che si evidenziano sono costi eccessivi per le persone. C'è un passo, molto bello, di L.Gallino, che evidenzia lucidamente e drammaticamente i possibili danni che ne possono derivare: "Dobbiamo saper distinguere i costi umani della flessibilità del lavoro e della società flessibile dai loro eventuali benefici, quanto esigere che i primi non vengano, come si suole, ignorati o sottovalutati in nome dei secondi [...] Un bene qual'è la società in cui la molteplicità degli interessi, delle culture, delle condizioni di lavoro e di esistenza trova una composizione armonica in forza di alcuni ideali irrinunciabili di giustizia sociale, di uguaglianza, di diritti alle persone. Un insieme di elementi costati all'Europa troppe fatiche, e troppe sofferenze, per pensare che si possano o si debbano agevolmente alienare in nome di nuove forme di funzionamento del sistema economico, pur nel riconoscimento che queste richiedono appropriate riforme dell'organizzazione sociale".

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