mercoledì 1 febbraio 2012

Pane e diritti

Fino a quando le persone hanno bisogno di pane sono disposte anche a subire la violenza di non pretendere diritti; fino a quando la legge è basata sul "prendere o lasciare" e "prendere" è un'esigenza per sfamare i figli, purtroppo, ci sarà chi farà i soldi e sfrutterà senza rimorsi. Ci sarà sempre un paese o una classe politica pronta ad offrire "servi" in cambio di qualcosa, naturalmente a proprio vantaggio. 
Purtroppo si fa finta di non vedere, di non sentire e poco si legge sulla nuova schiavitù, oppure pare cosa così lontana da noi, di altre genti...di popoli inferiori e, infondo, che possiamo fare? Mica possiamo prenderci sulle spalle i problemi del mondo e farne di tutti una crociata! Ma basta girare lo sguardo o alzare un poco la testa e li troviamo nei nostri campi, nel nostro lavoro nero, nella nostra economia sommersa.
Quello che ci sfugge è che sono molto vicini a noi, sono il nostro vicino globale! Sono dietro la porta e spingono ai nostri confini e diventeranno sempre di più e, per quanto si cerchi di ostentare indifferenza, prima o poi dovremo fare i conti con il crimine della povertà. Dovremo cominciare a pensare in modo globale e dovremo parlare di disoccupazione mondiale, di diritti dei lavoratori a livello mondiale, di giovani disoccupati a livello mondiale, perché è solo attraverso un movimento sociale mondiale che si potrà dare alle persone la speranza ad una vita dignitosa. E' solo attraverso un mondiale modo di pensare al lavoro dignitoso, che si potranno creare le condizioni per costruire una società equa. Juan Somavia, Direttore Generale dell'Ilo, lancia un appello per promuovere in tutto il mondo una crescita ricca di posti di lavoro per 75 milioni di giovani disoccupati tra i 15 e i 24 anni. E ci sono, fra questi, anche i nostri giovani! "La crisi dell'occupazione giovanile ha raggiunto dimensioni intollerabili e senza precedenti", per cui diventano urgenti iniziative per "evitare la perdita di una generazione".  Non è più concesso rimanere insensibili davanti alle proteste giovanili dei mesi passati, nelle quali "le rivendicazioni di un lavoro dignitoso, di giustizia sociale e di dignità da una parte, e la rabbia contro la disuguaglianza e l'avidità dall'altra, sono state in prima linea durante queste proteste e potrebbero portare ad una maggiore instabilità politica ed economica".
Il dissenso scoppiato nelle fabbriche vietnamite fa parte della fase che dopo il pane spettano i diritti: un operaio vietnamita guadagna mensilmente 75 euro, contro i 250 euro del suo omologo cinese. Il governo vietnamita, timoroso che il dissenso prendesse un carattere politico e impaurito di perdere le multinazionali, ha alzato quattro volte gli stipendi e lo scorso agosto, in certe zone industriali, lo ha addirittura raddoppiato. Ora, le cose sono due: o prima gli stipendi erano più che da fame, oppure adesso le multinazionali dovranno andarsi a cercare altri paesi da sfruttare. Se però rimangono vuol dire che, in combutta con il governo, "hanno sfruttato...e non poco". Più o meno è ciò che sta succedendo in Cina, anch'essa travolta da una numerosa serie di scioperi, in cui si chiedono maggiori diritti. Non poteva essere altrimenti, vista com'è la vita lavorativa all'interno delle fabbriche. 
Il 24 gennaio Apple ha presentato i risultati economici del trimestre ottobre-dicembre 2011: 13 miliardi di dollari di profitti, più del Pil dell'Albania o dell'Islanda, su un totale di oltre 46 miliardi di dollari di ricavi. A fronte di ciò, però, è da conoscere la vita nelle fabbriche degli iPhone. A una montagna di soldi fa da contraltare una montagna di diritti negati. E tanto per parlare ancora di diritti, è ancora più interessante leggere la risposta che dette Steve Jobs a  Barack Obama, quando gli chiese perché Apple non costruiva gli iPhone negli Stati Uniti. Consigliata la lettura, la sintesi è la seguente: solo nell'ambito di rapporti feudali tra servi e signori (in Cina è possibile!) si possono tirare giù dal letto 8mila operai a mezzanotte e metterli a turno di 12 ore, dopo avergli consegnato un biscotto e una tazza di tè. Alla Foxconn è usuale...per servire i clienti come Apple!
Certo, nel nostro Paese le condizioni generali sono migliori e lo sfruttamento non conosce certi livelli, ma se parliamo di diritti la vergogna è la stessa. Secondo l'Istat oltre 7 ingressi su 
10 derivano da assunzioni a tempo determinato. E che tali contratti sono più intensi nelle imprese con più di 500 dipendenti e che rappresentano il 71,5% degli ingressi.
Sempre secondo l'Istat, la disoccupazione  a dicembre 2011 è salita all'8,9% ed è il record negativo degli ultimi dieci anni. Dei giovani, uno su tre che partecipano attivamente al mercato del lavoro è disoccupato. Il tasso di disoccupazione giovanile si è attestato al 31%. Il totale dei disoccupati raggiunge la quota di 2 milioni e 243mila, che vuol dire tornare indietro di dieci anni. Secondo la Cgia, invece, la disoccupazione giovanile reale, che comprende i cittadini tra i 18 e i 24 anni senza lavoro e inattivi, perché sfiduciati dalla crisi, tocca il 38,7%. Si parla di una differenza enorme di 7,7 punti percentuali!
I lavoratori italiani hanno superato la fase del pane (o no?) e pensavano ormai di aver  acquisito dei diritti fondamentali. 
La differenza sostanziale fra i lavoratori dei paesi in via di sviluppo e quelli italiani sta nel fatto che i primi lottano per avere diritti e i secondi per riaverli.

2 commenti:

  1. Noto tra i miei amici, conoscenti e colleghi un misto di accdia e rassegnazione: c'è la consapevolezza che è necessario cambiare qualcosa,che il PIL non deve essere il faro della nostra esistenza, che "In un mondo finito la crescita non può essere infinita"... ma quanti provano a cambiare se stessi per poter cambiare il modello di vita imperante?
    Ci costa?
    Sicuramente sì ma cosa ci è dato gratis?
    Chiudo qui... mi sembra quasi di aver fatto un "Predicozzo" a mia figlia...
    Saluti

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Eppure sarà necessario cominciarci a pensare!
      Grazie del commento

      Elimina