domenica 19 febbraio 2012

Lavoro e lavoratori, ossia merce e mezzi di produzione

La scelta dell'ulivo, malmesso ma vivo, che è il simbolo del blog, rappresenta il lavoro. Un tempo era un grande ulivo, poi si è tentato in ogni modo di danneggiarlo, ma far morire un ulivo è difficile. Ce ne sono bruciati da una parte e vivi nell'altra; ce ne sono spaccati in due parti eppur vive entrambi; ce ne sono contorti, che rasentano la terra, ma vivi e che danno olive. Il lavoro, come l'ulivo, ha sempre resistito ad ogni intemperia.
Per quanto forte e resistente, però, anche un ulivo ha un limite, oltre il quale prima smette di dare frutti e poi muore. Così il lavoro. 
Ciò a cui stiamo assistendo, anzi, vivendo è  l'inizio della fase nella quale non ci sono più i frutti e, se non facciamo qualcosa, sicuramente è imminente la morte del lavoro. E non inteso come "fare", perché si chiamerebbe in modi diversi. Ciò che morirebbe è il lavoro inteso come rapporto sociale, mezzo dignitoso per crearsi un futuro, elemento aggregante di milioni di persone. E' il connubio vincolante del "saper fare " e del "saper essere". Ciò di cui si parla è il lavoro come parte determinante della vita di ogni persona.
Un lettore del blog ha scritto " Persona e lavoro non sono merci e potrebbe essere una buona base dalla quale elaborare un programma di governo". 
Nella lunga intervista fatta a Luciano Gallino, Tutti gli esuberi del finanzcapitalismo, della quale vi consigliamo la lettura, il sociologo, fra tante cose, parla della nascita del lavoro flessibile, degli investimenti nella ricerca e sviluppo, della produttività del lavoro, della crescita e dell'articolo 18. Leggendo l'intervista, della quale sarà estrapolata una sintesi, si percepisce il progetto di "squalificare" il lavoro, ossia di renderlo merce, al pari degli altri fattori.
"La concezione dell'impresa è stata trasformata con grande rapidità...quando si è passati da una concezione che potremmo definire istituzionale - per cui essa è o dovrebbe essere un insieme di complessi rapporti sociali tra proprietari, dirigenti, dipendenti, fornitori, comunità locali - a una concezione prevalentemente contrattualistica (intesa come un fascio, un insieme di contratti...che hanno una precisa data di scadenza e che possono essere rescissi in ogni momento)...si tratta di una delle manifestazioni della flessibilità che il capitale richiede, anzitutto per se stesso, affinché possa arrivare là dove i rendimenti sono maggiori...se una determinata parte contraente non soddisfa più certe esigenze di rendimento, quel contratto può essere eliminato e sostituito con un altro...La mobilità e la flessibilità del capitale comportano la flessibilità del lavoro...se una certa unità produttiva, che di per sé può andare benissimo, sembra rendere un po' meno in termini comparati rispetto ad un'altra che opera nello stesso paese o altrove nel mondo, quell'unità viene semplicemente chiusa, i lavoratori licenziati, dismessi, spinti al prepensionamento o lasciati al margine, sulla strada...quando il capitale deve essere spostato altrove, i lavoratori diventano degli esuberi... In Italia i salari sono bassi e stagnanti da una quindicina di anni, per diverse ragioni. Tra queste, la tendenza al lavoro precario, fondato su contratti di breve o brevissima durata, che rispondono all'idea che il lavoro debba essere altrettanto mobile del capitale... Nel nostro paese, insieme alla chiusura di molti stabilimenti, abbiamo assistito inoltre alla riduzione considerevole degli investimenti in ricerca e sviluppo. Una riduzione che, tra i paesi dell'Ocse, l'Italia si colloca, se non all'ultimo, al penultimo posto per investimenti nel settore, a cui destina circa l'1% o meno del Pil...Nell'arco di vent'anni l'Italia è diventata uno dei paesi con la minor rigidità nei licenziamenti individuali, molto minore rispetto a Germania, Francia e altri paesi. In tempi di drammatica crisi, in tempi in cui milioni di persone sono in attesa di un posto di lavoro, non è con la mobilità che si può pensare che l'occupazione risalga...considerato che le risorse sono comunque scarse, sarebbe necessario investire il più possibile per creare occupazione in settori ad alta intensità di lavoro. In Italia si continua a parlare di grandi  opere, di automazione, di produttività affidata alle macchine...in questi casi si punta sull'alta intensità di capitali, che richiede un numero di persone molto inferiore rispetto a quello che sarebbe necessario. Servono invece tante piccole e medie opere ad alta intensità di lavoro. Il che non significa che siano a basso valore aggiunto, perché, come dimostrano le piccole imprese e il mondo dell'artigianato, anche nei settori ad alta intensità di impiego della forza lavoro si creano forti valori aggiunti...L'articolo 18 rappresenta...non dico il pilastro ma quasi, dello Statuto dei lavoratori, ed è inteso a proteggere l'integrità, la dignità, la persona del lavoratore. Se si smonta quel pilastro, è facile che si smonti tutto il resto: la rappresentanza sindacale, la libertà sindacale, il diritto a non essere fisicamente sorvegliati sul luogo di lavoro...Se non intendiamo considerare i lavoratori come mezzi di produzione, che si usano più o meno e che poi si mettono da parte perché non servono più, allora l'articolo 18 va robustamente difeso...Oltre ad essere un elemento della civiltà del lavoro nel nostro paese, non esiste alcuna prova che l'eliminazione dell'articolo 18 serva ad aumentare l'occupazione".
Una lunga ma necessaria sintesi, pur nella consapevolezza di aver tralasciato parti significative ed importanti, ma che da il senso della costante intenzione, da parte del capitale, di intervenire metodicamente a trasformare il lavoro in merce e i lavoratori in mezzi di produzione.
In tutto questo tentativo di smantellamento i manager rappresentano il lato peggiore, anzi, sono lo specchio esatto di come dovrebbero essere le cose: lavorare solo per la ricchezza di pochi e non importano le condizioni dei lavoratori o la miseria dei tanti. In pochi anni il divario fra ricchi e poveri si è talmente accentuato che sta sparendo ( o è sparita?) la classe media, cuscinetto e traguardo di molti. Ciò che conta sono i risultati da presentare ai soci e non hanno senso le conseguenze di tali risultati. In Italia, dove il lavoro è il grande assente, abbiamo  i manager più pagati, al di là anche dei pessimi risultati da loro raggiunti.
Ormai non fa più notizia né che la Corte dei Conti dichiari che l'Italia è frenata dalla corruzione  e neppure che si sono persi altri 80mila posti di lavoro tra i giovani. Sembra non arrivare mai il limite all'indecenza. E, al di là di ciò che hanno sbandierato esponenti del governo e non, i giovani disoccupati sarebbero ben disposti, almeno uno su quattro, a emigrare anche per meno di mille euro pur di avere un posto fisso. Il fatto di rimanere vicino alla famiglia non è forse dettato dalla pura necessità? Chissà, forse, dal fatto che lavorando saltuariamente e con uno stipendio da quasi-fame non possano mantenersi? Certo, un po' mammoni lo saranno anche, ma a quarant'anni tutti vorrebbero la loro indipendenza e una propria famiglia, ma gli si dovrebbero dare le opportunità per costruirsela. E che opportunità possono avere le donne, in Italia, sempre più ai margini del mercato del lavoro se, come al Sud, molte di loro sfuggono alle statistiche sui disoccupati.
Di fronte alla tragedia della disoccupazione, delle donne e dei giovani dimenticati, del lavoro che scarseggia sempre più, l'unica risposta valida dei politici è l'abolizione dell'articolo 18, come se fosse la panacea contro tutti i mali, tanto che anche per Veltroni, del Pd, tale articolo non deve essere un tabù .
Ormai la differenza fra alcuni esponenti del Pd e del Pdl è minima, se anche il per fortuna ex-ministro Sacconi esorta il governo ad andare avanti sull'abolizione dell'articolo 18 anche se non c'è l'intesa. Per un ministro che ha fallito il suo mandato sarebbe buona cosa applicare la massima del "Il silenzio è d'oro", ma necessitano qualità come sensibilità, correttezza e senso della misura per percepirne il profondo significato.
E' difficile dire cosa succederà in un prossimo futuro, ma la speranza è che le persone diano credibilità solo a partiti o movimenti per i quali il lavoro non sia una merce e i lavoratori mezzi di produzione.


2 commenti:

  1. Buonsera Idelbo.
    Grazie per avermi citato.
    Come non condividere le cose scritte qui?
    Si fa piazza pulita di tutti quei luoghi comuni che infarciscono TV e giornali.
    Oggi è uscito un sondaggio che rileva che il 44% degli elettori non sa per chi votare.
    E' quì che si può trovare terreno fertile per l'auspicio dell'ultimo capoverso.
    Forse per migliorare le cose dovremmo tornare alle origini della nostra Repubblica: la nostra Costituzione andrebbe letta e messa in pratica nel suo vero spirito, che ritengo sia di condivisione e non di emarginazione.
    Cordiali saluti.

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    1. Ciao Gianfranco,
      citarti, oltre ad un piacere, è stato un dovere.
      Grazie dei tuoi commenti
      Idelbo

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