martedì 26 marzo 2013

Lavoro: da risorsa a costo, per poi sparire!

Leggendo, Ceti medi senza futuro?, di Sergio Bologna, ho trovato un passaggio che merita una particolare attenzione.  Brevemente, e assumendomene la responsabilità di un'imperfetta sintesi e di una personale interpretazione, due sono gli aspetti che mette in rilievo, anche se mi soffermerò maggiormente su quello del lavoro, perché condivido che siano stati elementi determinanti di una "rivoluzione dall'alto", che ha cambiato radicalmente la fisionomia del Paese:
"La Costituzione del '48, quella dei 'padri della patria', quella uscita dalla Resistenza e dal referendum contro la monarchia, la Carta della prima Repubblica Italiana, quella che siamo andati a difendere dalle proposte di riforma berlusconiane nel giugno del 2006, sì quella che fanno studiare a scuola, è stata per metà abrogata nei fatti con il decreto sulle privatizzazioni del '92, che ha cambiato la costituzione materiale del paese, pur non riscrivendone un'altra sul piano formale. Un anno dopo, luglio'93, veniva abrogata la seconda metà, i sindacati firmavano l'accordo sul costo del lavoro, cancellando di fatto l'art.1 della Costituzione del '48, quello famoso, quello che 'la Costituzione è fondata sul lavoro'. Da quel momento il lavoro ha cessato di essere un valore, una risorsa, è diventato un costo [...] il precariato di massa nasce allora, nel luglio del '93, non dalle leggi Treu o Biagi. Quelle hanno solo formalizzato uno stato di fatto".
Per quanto concerne le "privatizzazioni" si tenga conto che tre giorni dopo  la stesura del decreto, parte l'operazione "Mani pulite", che più che un'operazione contro la corruzione, è sembrata essere il tentativo di colpire l'equilibrio di un potere esistente, spazzando via un'intera classe dirigente e sostituendola con un altra..."seppellire la prima Repubblica e instaurare la seconda". Ai vecchi equilibri di potere ne sono subentrati di nuovi, ma con l'esito di non aver cambiato il risultato: se prima c'erano rimasti dei ruderi, oggi non ci sono più neppure i mattoni. Se l'obiettivo era la "corruzione", mai come oggi ha raggiunto vertici così elevati; se invece l'intento era elevare il livello qualitativo dei politici subentrati, allora non è sufficiente metterci una pietra sopra...ci vorrebbe una colata di cemento, visti i risultati che abbiamo davanti ai nostri occhi e che giovani e meno giovani subiscono ogni giorno. In venti anni è stato distrutto il Paese...è sparito il lavoro...e si è partorito il M5S, con i risultati che ogni giorno abbiamo il dispiacere di vedere!
Per quanto riguarda l'accordo sul costo del lavoro, a fronte del senso di responsabilità del sindacato, che intendeva fermare i salari per dare maggior respiro agli imprenditori di consolidare le imprese, ha fatto riscontro lo smantellamento delle grandi industrie, le imprese si sono frammentate, sgretolate, diventando sempre più piccole e inadeguate a investire in ricerca e sviluppo. Si è sviluppata a dismisura la finanziarizzazione, tesa unicamente ad accumulare rendite e profitti da capogiro. In pratica l'accordo è stato rispettato solo dai sindacati ed oggi, a distanza di vent'anni, i nostri salari sono agli ultimi tre posti fra i paesi Ocse. L'allora direttore generale di Confindustria, Cipolletta, riconobbe che l'accordo fu vantaggioso solo per le imprese che, oltre al fermo dei salari, ebbero il vantaggio di usufruire della svalutazione della lira, effettuando un recupero enorme di competitività.
Il mancato rispetto dell'accordo, da parte delle imprese, non solo ha provocato danni economici, ma ha, soprattutto,  distrutto la cultura d'impresa...ha dato il via a quello che oggi è un vero e proprio dramma sociale: la mancanza di lavoro per i giovani, laureati o meno.
Oggi si chiedono ancora sacrifici ai lavoratori, si cerca di attaccare i diritti acquisiti, si chiede di allungare i tempi di lavoro, magari riducendo i salari, perché la crisi richiede che tutti facciano la loro parte...dimenticandosi che la produttività esige anche investimenti in ricerca e sviluppo. Si parla di riforme  e si chiede un nuovo patto. Chi ha trasgredito il precedente ne chiede uno di nuovo! 
Pur riconoscendo al sindacato la buona fede, è indubbio che l'accordo del '93 è stato un errore,  seguito da uno più grosso: non ha capito e non ha saputo leggere la trasformazione del lavoro; non è stato capace, insieme alla sinistra,  di studiare strategie aggreganti in un mondo del lavoro sminuzzato, microbizzato e disperso, concentrandosi solo su una parte di lavoratori "sicuri" e  abbandonando, di fatto, i più bisognosi di aiuto: i giovani. Ma se il sindacato ha sbagliato, la sinistra è la colpevole in assoluto, perché non solo ha messo il lavoro "nel cassetto", ma non l'ha neanche più  riaperto! Entrambi si sono arroccati in difesa dei loro privilegi...disperatamente intenti a sopravvivere...anziché vivere!
Quando il capitale ha inteso riprendersi il terreno perso, non ha trovato nessun ostacolo nel suo cammino ed ha fatto terra bruciata intorno, facendo sparire non solo la classe dei lavoratori, ma anche la classe media, creando, di fatto, un'enorme non-classe da utilizzare a suo piacimento, nei modi e nei tempi da stabilirsi di volta in volta, come si usa fare con l'energia elettrica. Ha messo l'un contro l'altro il mezzo miliardo di lavoratori  dell'Occidente "ricco" con il miliardo e mezzo dei lavoratori dei paesi in via di sviluppo e non avendo nessun ostacolo  ad impedirglielo, ha imposto la revisione dei salari al ribasso, pena l'esclusione dal lavoro. 
Per assurdo "l'Italia ha iniziato il suo declino quando il conflitto sociale è scomparso, quando le generazioni hanno perduto il gusto e il senso di 'farsi sentire'. Quando il lavoro ha perso il suo prestigio sociale è iniziato il declino della nostra industria".
Ma com'è possibile avere "gusto e senso" a farsi sentire se il tempo lo trascorri a cercare lavoro, a consegnare inutilmente fotocopie di curricula e, soprattutto, quando non ti senti parte di niente; quando entri ed esci dal lavoro come una trottola; e se il tempo del lavoro, anziché assimilarlo come formazione, lo trascorri a guardarti intorno per cercarne un altro quando il precedente finirà; è veramente difficile pensare che le aziende facciano qualità e, soprattutto, chiedano, a chi sa di doversene andare dopo poco tempo, di fare qualità.
La sinistra è stata complice dell'evolversi di un mercato del lavoro dove la flessibilità, intesa a incrementare il lavoro  e dare maggiori esperienze lavorative ai giovani, in realtà ha fatto prendere forma e sostanza alla precarietà. La latitanza di un partito, al cui centro doveva esserci il lavoro e i lavoratori, ha fatto sì che il capitale distruggesse ogni possibilità di "costruzione del futuro": essere disponibili subito, per un certo tempo, secondo modalità che saranno ritenute più idonee allo specifico momento e alle condizioni salariali incerte.
Se fino a ieri era odioso l'etimo di precario descritto da Luciano Gallino: "qualcosa che si può fare solamente in base a un'autorizzazione revocabile, poiché è stato ottenuto non già per diritto, bensì tramite una preghiera", oggi non serve più neanche la preghiera per ottenere "qualcosa" per sopravvivere, basti pensare ai 4 milioni di poveri che ci sono nel nostro Paese! Se poi si guarda ai giovani disoccupati, ai Neet o alla moltitudine di quelli che vagano nel "flessibile a vita"...allora la sinistra è tragicamente colpevole della ferita che la precarietà infligge alla loro esistenza.
In Società individualizzata, Zygmunt Bauman scrive: "La precarietà impedisce qualsiasi forma di anticipazione razionale e, in particolare, quel minimo di fede e di speranza nel futuro che è necessario per ribellarsi, soprattutto collettivamente, contro il presente, anche quello più intollerabile [...] per concepire un progetto rivoluzionario, vale a dire un'ambizione ragionata di trasformare il presente in riferimento a un futuro progettato, bisogna avere un minimo di presa sul presente".
La precarietà non consente di fare progetti di vita familiare, esistenziale e professionale, anzi, la propria vita e il proprio destino sembrano essere in balia di cause che non  dipendono minimamente dal loro agire e sulle quali non hanno mezzi o aiuti per intervenire, quasi come alberi senza radici.
E se la sinistra e il sindacato, non hanno più nel loro Dna  un "progetto rivoluzionario di trasformare il presente in un futuro progettato"...allora non hanno più motivo di esistere!





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