mercoledì 6 aprile 2011

MA INSOMMA...COSA VOGLIAMO FARE?

Stiamo uscendo dalla crisi (è vero?) con una lentezza così esasperante che verrebbe la tentazione di dire che è solo un'illusione. Ma diciamolo...è un'illusione! + 45 per cento di cassa integrazione! E il nostro premier continua a dire che bisogna essere ottimisti, magari come lui, durante le visita a Lampedusa. D'altronde com'è credibile un Presidente del consiglio che dice che Obama lo chiama per chiedergli consigli e poi neanche viene invitato al summit svolto fra Usa, Inghilterra, Francia e Germania a proposito delle misure da adottare per la Libia, considerando che l'Italia, solo per la posizione strategica, è la più diretta interessata.
 Siamo curiosi di sentire  quali saranno le scuse adottate: forse non volevano disturbarlo. Lui stesso si è definito un po guascone, ma al paese serve una guida che abbia la forza di fare scelte forti, consapevoli, lungimiranti e coraggiose e, soprattutto, serve dire la verità. Ma non le verità di Umberto Bossi, quando dice come risolverebbe il problema dei migranti; nemmeno le verità del ministro degli esteri, che nella trasmissione di Matrix sembrava un'impacciato studentello nei confronti di Caracciolo, o le interviste fatte alla BBC  dalle quali ne esce con una figura meschina.
Le "guasconate", le frasi fuori luogo e gli evidenti imbarazzi sono solo dolorose rilevanze di  un'incapacità generalizzata di questo governo e tutto ciò non può ridare credibilità al nostro paese, fiducia nelle proprie capacità, entusiasmo a risolvere i problemi post-crisi, strategie industriali ed economiche per risollevarsi. Non basta fare spot elettorali lanciando programmi non credibili e inutili, che non danno le risposte alle tante domande sollevate dalle imprese, dai lavoratori, dai giovani, dalla scuola e dalle donne. Rispondere con frasi fuori luogo o con guasconate è il miglior sistema per non rispondere, perché ciò necessiterebbe di concrete argomentazioni. Si rende conto il nostro premier che si rischia di avere un'intera generazione di giovani persa e che se non si fanno investimenti di medio e lungo termine sui giovani si rischia di perdere anche quella futura? E' informato il Presidente del consiglio che l'Italia spende solo il 3,7 per cento del Pil nell'istruzione, contro la media europea del 5,1 per cento? E che l'abbandono scolastico" è del 19 per cento, contro la media europea del 14,4 per cento, comprendendo la Rep. Ceca, Polonia, Slovenia e Slovacchia, i cui abbandoni sono dell'ordine del 5 per cento? Se poi guardiamo ai nostri cervelli che fuggono in altri paesi, la cosa è ancora  più desolante, perché riguarda il 5 per cento più in alto. Sono migliaia di ragazzi, intelligenti e ben istruiti che vanno  a portare maggiore ricchezza in altri paesi. Noi li istruiamo e gli altri si prendono i risultati. Ma ad un governo che ignora le più elementari esigenze dei suoi cittadini, risponde un'opposizione debole, non propositiva, se non nelle dimensioni della banalità, che non riesce a darsi una struttura e una forza, necessaria per riprendere in mano il paese e traghettarlo verso un futuro per cui valga la pena lottare e sacrificarsi.
Poco tempo fa, a Cernobbio, c'è stato un meeting di questi nostri cervelli che hanno ottenuto successo all'estero e i quotidiani riportavano una stima dei brevetti più importanti, circa 90 miliardi di euro, con una perdita annua di rendita, per l'Italia, di decine di milioni di euro.  Solo due esempi, estratti dai quotidiani di questi giorni: la prima, Chiara Daraio, a San Diego ha creato "l'ecografia del futuro" e la rivista Popular Science l'ha inserita nella prestigiosa top ten "Brilliant 10". Si è Laureata con lode e menzione d'onore come la più giovane laureata in ingegneria meccanica dell'Università politecnica delle Marche, quindi va a fare il dottorato di ricerca in Scienza dei materiali ed ingegneria e, già nell'ultimo anno, viene assunta da  Caltech come assistant professor e quest'anno diventata full professor. Il secondo è Riccardo Signorelli, laureato in ingegneria Elettrica al Politecnico di Milano, quindi va al Massachussets Insitute of Tecnology per un dottorato. Inventa un "supercondensatore", capace di assorbire molta energia non solo in poco spazio ma istantaneamente e quasi all'infinito. Il governo americano investe 5,3 milioni di dollari nel progetto ed altri 2 milioni da parte di privati e il tutto nel giro di due anni, permettendo a Signorelli di fondare la sua azienda, la FastCap con il grant del Ministero dell'Energia americano.
Vogliamo continuare a relegare il nostro orgoglio nel fatto che "sono italiani" o godere di queste teste per il nostro benessere e per il nostro futuro? 
Crediamo che sia arrivato il momento di prendere delle decisioni e queste dovranno essere finalizzate  a obiettivi certi:
  1. una seria politica industriale e di sviluppo economico;
  2. un progetto di investimenti sui giovani che non guardi solo alla risoluzione dei problemi contingenti, ma che abbia obiettivi di medio e lungo termine, in modo da creare anche future generazioni di eccellenze;
  3. riformare la scuola e l'università, nelle quali  il merito abbia un effettivo valore, e lo scopo sia di creare "vera conoscenza". Sarebbe utile adottare, come in Svezia, l'avvicinamento dello studente al mondo del lavoro, pubblico e privato, inserendo il terzo anno di pratica come effettivo del corso di studi. Siamo certi di solleveremo molte reazioni a proposito, ma è necessario prendere atto che quando si parla di "meritocrazia" non la si intende solo per i politici, per il pubblico impiego, per i bandi di concorso, per i professori, ma anche per gli studenti. E' necessario che tutti, indistintamente, abbiano l'opportunità di  percorrere la strada che ritengono più opportuna, ma ci si deve rendere conto che non tutti sono tagliati per fare gli avvocati, gli ingegneri, i medici, i professori o i commercialisti. Sono necessari anche gli elettricisti, gli idraulici, i panettieri, i macellai, gli artigiani e gli operai. A tutti deve essere data la possibilità di esprimersi secondo le proprie capacità, ma è assolutamente prioritario non abbassare il livello della conoscenza e della formazione, uniformandola ad un livello più basso. D'altronde esistono gelaterie che sembrano vere e proprie boutique, condotte da persone che non hanno fatto l'università, ma che hanno creato un'attività di successo. L'obiettivo della scuola, in generale, è quello di formare studenti consapevoli che il futuro chiede a loro sempre più conoscenza, continuo aggiornamento e perenne formazione. E' attraverso il "meritocratico sapere" che si riuscirà a sconfiggere il baronato, l'offerta dei posti migliori per appoggi politici, per conoscenze altolocate, per compensazione di favori fatti ecc. Certo, serve una politica e una cultura che in Italia non è mai esistita, ma dovremo pur cominciare, altrimenti non c'è futuro. Allora non è certo democratico, per non dire falso, creare università di così basso livello in modo che tutti, se non in quattro sicuramente in dieci anni, riusciranno a prendere una laurea, a meno che non sia per un personale piacere di apprendimento, a cui tutti devono avere diritto di accesso. Non è forse più vantaggioso per il paese, per l'Università e per gli studenti una università di prestigio, libera, accessibile a tutti, ma di alto contenuto culturale? Non è forse più democratico valutare le capacità di ognuno, prima del suo accesso o dopo un biennio di cultura generale, al di là dell'appartenenza al ceto sociale? Chi ha detto che il figlio di un medico abbia maggiori capacità di un figlio di un operaio? Nel momento dell'accesso si valutano le "possibili" capacita; alla fine del biennio le "effettive" possibilità, valutando anche il curriculum dello studente prima dell'iscrizione e durante il biennio: l'impegno, la frequenza, gli esami sostenuti, il livello di apprendimento raggiunto. Normalmente, chi prolunga gli anni non ha bisogno di terminare gli studi per andare subito a lavorare, perché qualcun'altro pensa a loro. La vera democrazia sta nel fatto che va avanti chi ne ha i meriti, e ciò al di là della famiglia o classe di provenienza. L'università non dovrà più essere un parcheggio di lusso per l'incapacità di non fornire un lavoro ai giovani, rinunciando ad un capitale umano estremamente prezioso.
  4. Creare veri e propri Centri di Ricerca, nei quali Università, privati, regioni, enti ecc. partecipino al finanziamento. Questi centri dovranno fare ricerca e sviluppo, brevetti per proprio conto o su richiesta di privati, secondo le proprie specifiche tecniche. L'obiettivo finale è "fare sistema". In questo modo è possibile sopperire alle difficoltà delle Pmi a investire, singolarmente, su progetti di sviluppo costosi. E questo al di là di altre ipotesi di aggregamento, si vedano le reti di impresa, che, comunque, sono ancora in stato embrionale. Ultimo, ma non per importanza, in questi centri di ricerca potranno trovare lavoro e fare ricerca le nostre eccellenze e, perché no, che siano di richiamo per cervelli di altri paesi. Siamo certi che questo "sistema" avrebbe anche l'opportunità di sviluppare sinergie fra imprese, che potrebbe svilupparsi in comuni strategie di investimento, produttive e commerciali, che potrebebro vedere la nascita di imprese di dimensioni maggiori, che non farebbero certo male al nostro paese.
  5. Rivedere le modalità di introduzione al mondo del lavoro, come gli stage, i praticantati e gli apprendistati, così da diventare delle vere fonti di apprendimento e non di "sfruttamento", avendo cura di  fare una mappatura delle aziende virtuose e alle quali concedere agevolazioni fiscali. Naturalmente i giovani stagisti, praticanti e apprendisti dovranno ricevere almeno un minimo di salario di "mantenimento", devono essere accompagnati da tutor e al termine del periodo di apprendimento, che non potrà essere superiore ad un anno, dovranno ottenere un dettagliato resoconto del loro operato. Fare una mappatura dei lavori ricercati in modo che sia facile far incontrare la domanda e l'offerta; fare annuali analisi delle lauree più richieste, in modo da dare utili indicazioni sia agli studenti che alle scuole. 
  6. Rimanendo prioritario l'obiettivo delle assunzioni a tempo indeterminato, non possiamo e non dobbiamo coprirci gli occhi e sparare promesse assurde e non realizzabili a breve termine, per cui si dovranno ridisegnare nuove forme di tutela, magari più estese che profonde; si dovrà ridurre le discontinuità dei lavori, aumentandone le coperture, per far fronte all'attuale eccessivo utilizzo di lavoro flessibile, spesso trasformato in lavoro precario
  7. Infine, ma solo per una maggiore evidenziazione del problema: drastica riduzione della disoccupazione, soprattutto dei giovani e delle donne.
Allora, forse, ci riapproprieremo del nostro futuro.




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