domenica 17 aprile 2011

GIUSTIZIA SOCIALE E LAVORO DIGNITOSO: le lotte future

Come si legge nella lettera del Direttore Generale dell'Ilo, Juan Somavia, indirizzata al convegno sulla Giornata Mondiale per la giustizia sociale 2011: "Per le persone disoccupate o senza fonti di sostentamento non importa molto che l'economia cresca del 3,5 o del 10 per cento se loro stessi rimangono comunque ai margini e senza alcuna protezione. Per loro, l'importante è che i governi e le società promuovano politiche che garantiscano occupazione e giustizia, pane e dignità, libertà di esprimere bisogni, speranze e sogni, nonché soluzioni concrete che non siano sempre a discapito dei più deboli".
Non è certo il solo elemento necessario, ma è la qualità del lavoro che definisce la qualità della società.  E non è una bella società quella che oggi presenta massimi storici negativi: 205 milioni di persone che nel mondo sono disoccupate, fra le quali ci sono ben 80 milioni di giovani; è in crescita il numero di quelli impiegati in occupazioni vulnerabili, ben 1,5 miliardi; senza contare i lavoratori poveri che vivono insieme alle loro famiglie con meno di 2,5 dollari al giorno e che raggiungono la ragguardevole cifra di 630 milioni. Nel rapporto Global Employment Trends 2001 si legge: "Mentre nei paesi sviluppati si assiste al perdurare di elevati livelli di disoccupazione e ad un crescente scoraggiamento, i paesi in via di sviluppo sono caratterizzati da un aumento  dell'occupazione e da un numero elevato di lavoratori poveri e lavoratori con un'occupazione vulnerabile. Queste tendenze sono in forte contrasto con quanto emerge da numerosi indicatori macroeconomici chiave: il Pil mondiale, i consumi privati, gli investimenti, il commercio internazionale e i mercati finanziari hanno tutti mostrato segnali di ripresa nel 2010, superando i livelli antecedenti la crisi". In pratica si sono spostati i costi sui lavoratori.
Come sempre tutti i mali non vengono da soli, per cui si registra anche che la crisi mondiale ha dimezzato la crescita dei salari, ridotto la mobilità sociale e relegato molte persone in lavori sotto pagati; senza contare il rischio di "perdere" una generazione di giovani per la difficoltà di reperire un lavoro dignitoso.
L'ammonimento della Costituzione dell'Ilo recita come segue: "Una pace universale e duratura è possibile solo se fondata sulla giustizia sociale" e il fatto che molti giovani dei paesi arabi in rivolta si siano riversati sulle strade ne è la dimostrazione. Nel corso della sessione speciale del 21 marzo del Consiglio di amministrazione dell'Ilo, dedicata alle misure da adottare nel mondo del lavoro nei paesi arabi, Dorothea Schmidt, responsabile dell'Ilo del Cairo, disse che il motivo principale sta nell'elevato tasso di disoccupazione dei giovani (23 per cento), condizioni di lavoro scadenti, salari bassi, senza protezione sociale, assenza di contratti formali, assenza di prospettive di carriera, assenza di sindacati.  Per le donne la situazione è ancora peggiore: tasso di disoccupazione del 31,5 per cento e un livello di partecipazione al mercato del lavoro che è il più basso a livello mondiale. In Egitto chi rimane senza lavoro scivola sicuramente a livello di povertà, perché i sistemi di sicurezza sociale sono indirizzati esclusivamente ai funzionari pubblici. Per risanare la situazione sarebbe necessaria la creazione di posti di lavoro, ma le evidenti difficoltà sono anche dovute alla scarsità di investimenti privati  in un mercato fortemente sottoposto al controllo statale e con crescita stagnante.
Uno dei problemi che la crisi ha rivelato e aggravato è sicuramente la disuguaglianza di genere nel mondo del lavoro, evidenziando la persistenza di una evidente segregazione delle donne in lavori caratterizzati da basse remunerazioni, orari di lavoro pesanti, per altro aggiungendoci il lavoro casalingo, e contratti per lo più informali. Secondo il Direttore Generale dell'Ilo: " Per assicurare una ripresa sostenibile ed equa ed una globalizzazione giusta dobbiamo adottare misure che tengano conto delle dimensioni di genere".
Nel rapporto World Social Security Report 2010-2011: providing coverage in times of crisis and beyond, si evidenzia che nel mondo la maggior parte delle persone in età lavorativa, insieme alle loro famiglie, non gode di un sistema di protezione sociali universale, pur essendo, quest'ultima, "un insostituibile stabilizzatore economico, sociale e politico, che fornisce un reddito sostitutivo e aiuta a stabilizzare la domanda aggregata, senza compromettere la crescita economica". 
In media il 17,2 per cento del Pil mondiale è dedicato alla sicurezza sociale concentrandosi, evidentemente, nei paesi ad alto reddito. Nel mondo solo il 20 per cento delle persone in età lavorativa, insieme alle loro famiglie, gode di un sistema di protezione sociale. Nell'Africa Sub-sahariana solo il 5 per cento è effettivamente coperta da schemi contributivi,mentre in Asia, Medio Oriente e NordAfrica è del 20 per cento. Nei paesi ad alto reddito, il 75 per cento della popolazione riceve una qualche pensione e nei paesi a basso reddito meno del 20 per cento gode di tali trattamenti. Su 184 paesi analizzati solo 77 hanno per legge degli schemi di sicurezza sociale a favore dei disoccupati e, spesso, rivolti esclusivamente ad una minoranza della forza lavoro (si veda l'Egitto). Meno del 30 per cento della popolazione in età lavorativa mondiale è coperta per legge da un'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Nelle aree rurali dei paesi a basso reddito non più del 35 per cento delle donne ha accesso ai servizi sanitari professionali, mentre nelle aree urbane il tasso sale al 70 per cento. Quest'ultimo, comunque, un 20 per cento in meno  rispetto ai paesi a alto reddito.
Pur riconoscendo che i sistemi di assicurazione contro la disoccupazione, l'assistenza sociale e i programmi di opere pubbliche rappresentano strumenti efficaci per prevenire la disoccupazione di lunga durata e per velocizzare la ripresa economica, solo 64 paesi su 184 ha avviato questo tipo di meccanismi prima che scoppiasse la crisi.
Secondo uno studio dell'Istituto Internazionale degli Studi Sociali dell'Ilo, crescita ed equità possono andare di pari passo, mettendo in atto una  giusta combinazione di politiche: il rafforzamento dell'equità sarebbe in grado di generare crescita economica e, questo, contrariamente a chi ritiene che l'equità sociale sia un costo in termini di riduzione della crescita. Lo studio evidenzia l'efficienza dei progetti incentrati sull'occupazione che creano maggiori e migliori posti di lavoro e accrescono la produttività di lungo periodo : " ridurre i divari di qualità che attualmente caratterizzano il mercato del lavoro non sarà solo utile a raggiungere obiettivi di equità ma, sfruttando la giusta combinazione di politiche, permetterà anche di incrementare la produttività e la resistenza agli shock economici futuri. Queste misure comprendono un sistema di protezione dell'occupazione ben strutturato, un regime fiscale favorevole al lavoro e delle procedure amministrative più snelle per i lavoratori autonomi".
Inoltre, le misure di protezione sociale: " aiutano a stimolare e sostenere i redditi dei soggetti più vulnerabili, e possono generare ampi effetti moltiplicativi che coinvolgono anche altri gruppi, stimolando la creazione di posti di lavoro e la produzione di reddito a livello aggregato".
D'altronde, come ci ricorda Raymond Torres, direttore dell'Istituto Internazionale di Studi Sociali dell'Ilo,  i recenti avvenimenti in NordAfrica hanno messo in evidenza la centralità dell'occupazione e l'importanza di un'equa distribuzione del reddito per garantire la coesione sociale, elemento chiave per far sì che la crescita sia sostenibile.
Nel lungo rapporto dell'Ilo, Extending Social Security to all: A guide through challenges and options, che dà indicazioni e orientamenti per stabilire un livello di sicurezza sociale adeguato per tutti, conclude  con queste parole le 140 pagine di analisi: "...poiché l'estensione effettiva della sicurezza sociale alle persone che ne hanno bisogno determina un impatto sociale ed economico positivo, tutti i paesi possono garantire un certo livello di sicurezza sociale, a condizione che vi sia una reale volontà politica".
Amartya Sen, premio nobel per l'economia nel 1998, scrive: "Il mondo economicamente globalizzato, con tutte le sue possibilità e tutti i suoi problemi, esige una consapevolezza altrettanto globale dell'importanza del lavoro dignitoso".


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