giovedì 15 maggio 2014

Il diritto di guadagnarsi da vivere

Su Economia e Politica, Gli insuccessi nella liberalizzazione del lavoro a termine, si legge: “L'effetto sociale più grave della crisi economica scoppiata alla fine del 2007 è l'impennata della disoccupazione. In Italia i senza lavoro sono più che raddoppiati rispetto al 2007 e oggi superano i 3,2 milioni […] secondo le previsioni del governo il tasso di disoccupazione a fine anno (2014) giungerà al 12,8%, contro il 6,1% del 2007”. Se l'Italia piange l'Europa non ride davvero con i suoi 19 milioni di disoccupati, ben 7 milioni in più rispetto al 2007. Consiglio un'attenta lettura di questo articolo, che dimostra l'insuccesso della liberalizzazione del lavoro a termine, anche se nel proseguo mi prenderò la licenza di  evidenziare alcuni aspetti importanti.
Di fronte ad un dramma sociale di tali dimensioni i dati riportati dall'Istat non sono certo incoraggianti se si guarda al Pil : è diminuito dello 0,1% rispetto agli ultimi mesi del 2013 e dello 0,5% nei confronti del primo trimestre dell'anno scorso ( siamo tornati al livello del 2000...14 anni indietro!); inoltre, sempre l'Istat ci informa che la crescita acquisita del Pil italiano per il 2014 è pari a -0,2%.  Però qualcuno si consolerà sapendo che anche quello della Francia è peggiorato e magari avrà un gesto di stizza nel sapere che per la Germania le cose vanno bene (+ 0,8%). Siccome piove sempre sul bagnato, l'agenzia Ansa, nell'analizzare i dati estrapolati dalle informazioni creditizie Cerved, ci informa che tra gennaio e marzo si è avuto il record di fallimenti (3811 pari a un + 4,6% rispetto al 2013). Questo ci porta alla conclusione che nel primo trimestre del 2014 si contano, in tutto, 23 mila chiusure aziendali.
Sorge spontanea una domanda: che fare?
In Europa, e l'Italia condivide, prevale l'idea dell'austerità anche se da più parti viene riconosciuto il suo fallimento: perfino il Fmi  se n'è reso conto! L'unica cosa che i governi sanno fare, e quest'ultimo non si differenzia, è di porre l'attenzione sule politiche del lavoro, convinti che una sempre maggiore flessibilità favorisca la crescita occupazionale. L'arte della politica è creare aspettative, convincere la gente che qualcosa sta cambiando e, qualora non avvenisse, trovare un capro espiatorio. Renzi si inventa lo spot elettorale degli 80 euro in busta, che non cambia la vita a chi li riceve, anzi, toglie la possibilità di fare uno stipendio a centinaia di migliaia di giovani, ma elettoralmente meno influenti; molte persone ci credono e il novello condottiero, che da Arcore si è spostato a Firenze, distrae la gente dal decreto Poletti, che per l'ennesima volta, dopo il disastro Fornero, tenta una più radicale liberalizzazione dei contratti a termine, prevedendo l'eliminazione dell'obbligo di indicazione della causale economico-organizzativa, l'aumento del numero delle proroghe possibili e la trasformazione di obblighi ad assumere in sanzioni amministrative. In sintesi: in cosa consista il cambiamento di verso proposto da Renzi rimane un arcano da far studiare ai posteri!
Dallo studio effettuato ed esposto nell'articolo di Economia e Politica, che vi esorto ancora a leggere, basato su dati prelevati dal database sulla flessibilità del mercato del lavoro messo a disposizione dall'Ocse e in relazione all'Employment Protection Legislation Index (EPL), indice che misura il grado di protezione dell'occupazione previsto dalla legislazione di un paese, si evince che: “queste politiche (liberalizzazione dei rapporti di lavoro a termine) non hanno avuto alcun successo in Europa negli ultimi 25 anni. Pertanto, non vi sono ragioni per ritenere che l'inserimento di ulteriori dosi di flessibilità possa in qualche modo contribuire alla ripresa dell'occupazione in Italia e in Europa”.
Ora, se è pur vero che certi risultati ottenuti nell'analisi dello studio dovrebbero essere maggiormente approfonditi a causa di decisioni poco chiare dell'Ocse di fornire solo “componenti principali  dell'indice Epl”,  e che sembrerebbero dimostrare che “in generale nei paesi dell'Eurozona, dal 1990 ad oggi, la liberalizzazione dei rapporti di lavoro a termine si è accompagnata con l'aumento della disoccupazione”, certamente, e la prudenza è d'uopo, “si può concludere che le politiche di liberalizzazione del lavoro a termine non hanno determinato alcuna crescita occupazionale”.
Ciò che maggiormente stupisce è che la stessa Ocse ha a più riprese “negato l'esistenza di una correlazione tra flessibilità e occupazione”; nel 2006 anche l'attuale capo  economista del Fmi scriveva che “le differenze nei regimi di protezione dell'impiego appaiono largamente incorrelate alle differenze tra i tassi di disoccupazione dei vari paesi”.
Com'è possibile che davanti a chiari ed evidenti risultati empirici sia l'Europa che l'Italia continuano su questa strada, anzi, la inaspriscono, restando insensibili ai mostruosi costi sociali procurati? Non esiste una sola risposta!
Certamente sarebbe necessario un uomo politico consapevole di dover fare scelte impopolari e coraggiose e che non sia condizionato “dall'ansia da prestazione” per essere rieletto. Scelte che imporrebbero a tutti sacrifici proporzionali a ciò che si possiede e, soprattutto, a ciò che non si è mai dato.
Sarà grezzo, semplicistico, anche rozzo e populistico, ma prima il rapporto di potere era dato da: finanza-killer che usava la politica-arma, la quale liberizzava lo sfruttamento della massa dei lavoratori da parte delle industrie. Questo ha permesso la distruzione del cuscino di protezione che erano le tutele dei lavoratori e le istituzioni che le dovevano gestire. Quindi la grande massa di persone erano quelle che direttamente o indirettamente pagavano gli errori dei pochi ricchi. Poi la finanza-killer si è sempre più impadronita della politica-arma per trasformare la “manifattura” in “carta” (che errore la sinistra a non dialogare con i micro, piccoli e medi imprenditori seri!), avendo maggiori guadagni speculando e la “massa” si è sempre più impoverita, ma rimanendo la fascia che aveva il compito di pagare l'ingordigia dei pochi. Da ciò è desumibile che per governare è necessario avere i poteri forti dalla propria parte, e quindi pagare un forte dazio economico per poterlo fare, per cui alla “massa”, oltre al compito di continuare a pagare, non resta che farsi illusioni sulle promesse del tribuno del momento. Sperare nei maghi è meno faticoso che non riprendere in mano la voglia di decidere il proprio destino; delegare le proprie volontà ad altri ed attendere le decisioni è diventato costume...direi rassegnazione! Quindi diventa consequenziale dipendere dalle loro elemosine pur di sopravvivere e poi tacere dei loro soprusi.
Al centro di un progetto di sinistra, come ci ricorda André Gorz, non si deve trovare la garanzia di un reddito indipendente dal lavoro o forme di elemosina celate in sostegno di ogni genere (mia aggiunta!), ma il "legame indissolubile tra diritto al reddito e diritto al lavoro. Ogni cittadino deve avere il diritto a un livello di vita normale; ma ognuno deve anche avere la possibilità (il diritto dovere) di fornire alla società l'equivalente in lavoro di ciò che consuma: il diritto, insomma, di 'guadagnarsi da vivere'; il diritto di non dipendere, per la sussistenza, dalla buona volontà di chi detiene il potere di decisione in campo economico, L'unità indissolubile di diritto al reddito e diritto al lavoro è per ciascuno la base della cittadinanza".





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