domenica 30 gennaio 2011

La busta paga

Molto spesso, mentre scrivo di lavoro, mi viene in mente quanto fosse diverso quando ero giovane, in termini di rapporti, sicurezza, tecnologia e aspettative; ma una cosa non è cambiata con la situazione attuale: il problema dei giovani. Prima, la loro turbolenza e le loro richieste andavano verso la direzione del miglioramento di vita, oggi il problema è assai più grave: quale futuro?
Le trasformazioni avvenute nell'ambito del lavoro, soprattutto quelle tecnologiche e dei rapporti relazionali, che avrebbero dovuto migliorarne la qualità, in termini di fatica e di vita all'interno delle aziende, si sono sempre più indirizzate ad accrescere disoccupazione, incertezza, senso di precarietà, colpendo, in modo particolare le donne e i giovani. Negli anni '70 del secolo scorso, quando chi scrive ha iniziato a lavorare in fabbrica, il lavoro era indubbiamente più faticoso, con ambienti produttivi molto più pericolosi, dove, all'interno, i rapporti erano gerarchizzati, spesso, per non dire sempre, erano conflittuali. Però c'era il lavoro, che permetteva di progettare un avvenire; c'era un sindacato, con il quale si combatteva per condizioni migliori; c'era, soprattutto, un forte senso di solidarietà fra i lavoratori e la consapevolezza di essere parte di qualcosa. Oggi, l'eccessiva flessibilità richiesta e concessa alle imprese, ha non solo ridotto il ruolo dei sindacati, ma ha ottenuto un successo molto più importante, ha portato i lavoratori precari ad essere parte di niente.
Quando leggevo il libro di Simone Weil, La condizione operaia, che riporta le esperienze lavorative dell'autrice in fabbriche degli anni '30, mi meravigliavo di quanto fossero poco cambiate certe condizioni nelle fabbriche degli anni'70: in termini di sicurezza, in termini di rapporti e con quanta fatica erano state ottenute certe conquiste. Soprattutto quante lotte per arrivare a conquistare ciò che ritenevamo, specie i giovani, un lavoro sempre più vicino alla persona. Difficilmente mi fermo a ricordare il passato, ma come ricorda Bourdieu, è attraverso il passato e l'analisi del presente che si può ipotizzare il futuro. Ed è in questa ottica che ricordo e apprezzerei ricevere ricordi di altre persone, di ogni età, per poter avere una storia della trasformazione del lavoro costruita con storie o semplici episodi veri.
Nel 1973, dopo lavori stagionali, come cameriere, postino e dopo un'esperienza in un'officina meccanica, che svolgevo anche nel periodo ante-diploma, venni assunto in un grosso saponificio con la mansione di caldaista: patente che presi, su suggerimento di un amico di famiglia, subito dopo essermi diplomato. In effetti mi fu utile, perché l'azienda in oggetto stava assumendo personale giovane e diplomato da posizionare nei suoi vari reparti. Quell'anno decise di assumerne tre. Credo che fummo gli ultimi.

Non avevo mai lavorato in una fabbrica di certe dimensioni e non sapevo niente della vita di fabbrica, se non attraverso racconti o libri. Quello di cui ero certo era il clima di conflittualità esistente nelle relazioni industriali. Conoscevo gli scioperi della Piaggio, della Richard Ginori, della Saint Gobain e altre grandi aziende pisane, perché spesso gli scioperi studenteschi si incrociavano con quelli degli operai, talvolta accettandoli e altre volte osteggiandoli, a seconda delle esigenze strategiche. Quasi sempre "noi" eravamo quelli che non avevamo "voglia di fare niente", che non "potevamo capire"e che avevamo la fortuna di "essere mantenuti agli studi". Non capivo. Spesso mi chiedevo e gli chiedevo: "Ma come? Siamo gli stessi che la sera a casa sente le lamentele sui capi, sui pericoli nei reparti, sul fatto che venite trattati come animali, che lo stipendio non basta. Siete voi che "volete" che andiamo  scuola per farci un futuro migliore, per non fare le stesse cose che fate voi". Eppure in tutto questo c'era una logica, ma l'ho capita dopo, quando anch'io sono entrato in fabbrica, quando ho conosciuto un mondo che nella scuola non era minimamente presente. Pensare che questa doveva formare i futuri lavoratori, capi o manager! Ma questo è un altro argomento e lo riprenderemo in seguito, per tornare al racconto.
Ritorniamo al saponificio e alla mia prima esperienza di vita industriale che, casualmente, mette in evidenza tre aspetti negativi contemporaneamente. La busta paga la ricevevamo il 27 di ogni mese. Alle ore 13 venivano messe le transenne a forma di corridoio, che portavano ad un tavolo, posizionato sotto una tettoia. A quell'ora erano previsti i turnisti del pomeriggio, che entravano alle 14, quindi avrebbero dovuto avere la priorità quelli che avevano fatto la notte (terminato il turno alle 6 del mattino) e che avrebbero dovuto riposarsi per ritornare la notte del giorno di paga. Infine era il turno dei lavoratori del mattino, che terminavano il lavoro alle 14. Tutto ciò con sole o acqua oppure con freddo o caldo. Non era inconsueto che il termine della consegna delle paghe avvenisse intorno alle 16 del pomeriggio. Oltre alla paga, veniva consegnato ad ogni lavoratore un pezzo di sapone e un fustino di sapone in polvere.
Non ricordo se era la seconda o la terza paga che dovevo riscuotere, ma ricordo perfettamente che davanti avevo un lavoratore, che aveva parecchi più anni e che tossiva in modo allarmante. Mi infastidiva quella tosse! Non so perché ma mi creava un ansioso disagio. Guardavo il vecchio, così lo pensavo, ma aveva la mia attuale età, e come assomigliasse, per struttura fisica, a mio padre. Quella tosse mi è rimasta per anni in testa ed è diventata la mia battaglia, la voglia di fare qualcosa; avere l'obbligo di interessarmi agli altri, mettere a disposizione degli altri le capacità acquisite, grazie allo sforzo di chi ha voluto che avessi una vita diversa dalla sua. Ero esasperato da quella tosse, ma anche meravigliato dalla tranquillità di quell'uomo, quasi una rassegnazione alla vita, di come ti viene e di come la devi tenere. Non pareva esserci un benché minimo sussulto ad avere diritto a qualcosa di diverso. Così era! 
Ero giovane, anche un po irrequieto, ma non riuscivo a tollerare che quella persona dovesse tossire così tanto e che nessuno si occupasse di lui; soprattutto che nessuno gli cedesse il posto per farlo andare a casa prima possibile. Non sapevo che davanti a lui c'erano tanti altri problemi e tante altre storie, per cui sarebbe valsa la pena di arrabbiarsi e lottare. La fila non si stava muovendo e lui tossiva. Era più di un'ora, un freddo cane, fermi in fila e lui continuava a tossire. Gli chiesi se si era fatto vedere da un medico e se prendeva qualcosa  o se voleva che chiedessi alla signora, addetta alla distribuzione delle paghe, se poteva lasciarlo passare avanti. Mi disse di lasciar perdere, che non c'erano problemi e che avrebbe atteso tranquillamente. Ma continuava a tossire e la fila scorreva con una lentezza incredibile, o forse mi sembrava particolarmente lenta quel giorno. Guardavo oltre la fila e vedevo la signora delle paghe che continuava a parlare con la sua collega, infischiandosene di far attendere tutti quei lavoratori che avevano da andare a casa a riposarsi per la notte o che avevano appena terminato 8/9 ore di lavoro insano e faticoso. E lui tossiva! E la fila non scorreva! La signora delle paghe che continuava a inveire contro chi tentava timidi richiami a velocizzare la consegna. Quanto ho odiato quella donna! Rappresentava ciò che di più ho odiato nella vita: la mancanza di rispetto. Quante cose sarebbero migliori con il rispetto per gli altri! Che necessità ci sarebbe necessità di leggi o regole?
Erano le 15,30. Gli chiesi da quanto tempo avesse quella tosse. Ero uno dei tre giovani diplomati, entrati subito nei posti migliori, sicuramente raccomandati e, quasi sicuramente, uomini della Direzione, per cui il tam tam aziendale aveva avvisato di fare attenzione e di valutare attentamente il comportamento. Valutare e riportare, ma a chi? Soprattutto, valutare cosa? Valutare se eravamo rimasti figli di operai e sensibili ai problemi degli stessi o se eravamo diventati dei capi, dimenticandoci la provenienza dei nostri padri, e valutando soprattutto la trasformazione culturale?  Mi guardò per un po, quasi fossi un marziano,  e poi mi chiese se avevo mai visto il reparto tramogge. Non sapevo neanche che ci fosse! Mi spiegò che servivano per alimentare le macchine scatolatrici e mi invitò ad andarle a vedere. Gli spiegai che non era il mio lavoro, ma lui mi rispose che avrei capito perché aveva la tosse. 
Assomigliava a mio padre, aveva una tosse terribile, mi raccontava che svolgeva un lavoro orribile che gli procurava quella tosse, ed era oltre un'ora che era in fila per un suo diritto: ricevere la busta paga per un lavoro che lo stava distruggendo. Gli stavano mancando di rispetto in ogni senso, per un lavoro pericoloso per poter vivere e per un diritto non rispettato (quanti ce ne saranno ancora!). Ricordo solo che uscii dalla fila, tirai in terra tutte le transenne e chiesi ai lavoratori rimasti di andarsene, di non accettare di rimanere in fila. Dissi loro che non era giusto continuare a fare gli animali da soma anche fuori dall'orario di lavoro. Gli dissi che le buste paga le avrebbero dovute consegnare i capi reparto, ad ognuno, personalmente, quasi a ringraziarli del lavoro svolto. Per cui li esortavo ad andarsene a casa e che mi sarei incaricato personalmente di andare dal capo personale a spiegare ciò che era successo. Non so se furono colpiti da una cosa che non era mai successa o dal fatto che "forse" questo giovane "non era" proprio della direzione. Non lo so. So solo che uno dei lavoratori più anziani mi dette la mano. Non disse niente. Mi dette la mano e questo mi bastò. Lui aveva avuto fiducia. Tutti avevano avuto fiducia e lasciarono la fila, rinunciando al loro sacrosanto diritto di ricevere la busta paga.
In seguito le buste paghe furono consegnate da ogni capo reparto; sono andato al reparto tramogge e, dopo un'inattesa fermata non programmata, il reparto è stato reso vivibile; mi sono dedicato a tutti gli aspetti della sicurezza e della qualità ambientale, ma quante lotte. Tante lotte e qualche conquista, ma, soprattutto, non mi sono mai dimenticato di quella tosse e di quella stretta di mano.








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