domenica 23 gennaio 2011

IL LAVORO E' O NON E' UNA MERCE?

Ormai la flessibilità è richiesta da ogni parte, come qualcosa di inderogabile. Non vi è istituzione nazionale o internazionale, giornale o governo che non invochi quotidianamente l'esigenza, la necessità o l'urgenza della flessibilità per il futuro del lavoro. Società flessibile, lavoro flessibile, tempo flessibile e uomo flessibile sono termini ormai d'uso quotidiano, che possono dar vita a scenari diversi: come fonte precarietà o opportunità; determinante per la crescita occupazionale o elemento di disgregazione sociale e di maggior impoverimento; utile alla crescita professionale e personale o causa di elevati costi personali.

Per molti autori, come Sennett e Bauman, la flessibilità del lavoro è fonte di precarietà, di instabilità e di insicurezza. Per non parlare di Gallino, il quale ritiene determinante l'opera di smantellamento, avvenuta in Italia e in altri paesi, da parte della politica che, accogliendo le esigenze dell'economia, ha continuamente tentato di smontare il principio "della temibile affermazione per cui il lavoro non è una merce" facendo"prevalere il principio per cui, dopo tutto, il lavoro non è altro che una merce".

Secondo Gallino, tra la concezione del lavoro come merce, e quella che ad essa si oppone, le differenze sono sostanziali e scrive: "Ove si aderisca al principio per cui il lavoro non è una merce, si è portati a credere che qualunque provvedimento modifichi le condizioni generali e particolari alle quali il lavoro viene prestato, a cominciare da quelle contrattuali, incide direttamente e indirettamente su tutti gli altri caratteri della persona [...] Se il lavoro è una merce, viene naturale pensare alla separazione del lavoro stesso dalla persona del lavoratore e parlare di un mercato - il mercato del lavoro - dove la merce stessa viene scambiata e venduta allo stesso titolo di ogni altra merce. Al tempo stesso, le conseguenze che la separazione dal suo lavoro può avere sulla persona appaiono irrilevanti". Tutto ciò esenta l'impresa, la collettività e lo Stato dal tenere conto della dignità, delle competenze professionali, del futuro e delle relazioni familiari del lavoratore; al limite, qualora succeda qualcosa a livello contrattuale, c'è una messa a tacere della coscienza con gli ammortizzatori sociali, che dovrebbero avere il compito di aiutarlo a ridurre e alleviare le difficoltà.

Nel testo di Mingione e Pugliese, Il lavoro, si legge: "L'applicazione automatica dell'idea di mercato al mercato del lavoro è alquanto inappropriata e [...] il fatto che la merce non sia separabile dal proprietario implica che la relazione sociale tra le parti non si esaurisce al momento dello scambio [...] ed è solo nella misura in cui il lavoro è visto come lavoro astratto che si può parlare effettivamente di mercato del lavoro. La capacità lavorativa diventa una merce". E' la capacità lavorativa, nella definizione delle dimensioni del saper fare e del saper essere a diventare merce.

Certo, si potrà obiettare se ciò è estendibile a tutti i lavoratori, di responsabilità o manovalanza; a tutti i lavoratori, istruiti o meno; e, soprattutto, se ciò potrà ridurre le disuguaglianze accentuate, oggi, più sulle donne, sui giovani e sugli immigrati.  Si sa che il mercato del lavoro non è un luogo di equità e di giustizia, per cui la capacità lavorativa deve essere supportata da interventi legislativi e regole dettate dalle istituzioni nazionali e internazionali al fine di ridurre il libero gioco della domanda e dell'offerta "negando la sua totale mercificazione".  

Quello che è certo è che se la Dichiarazione di Filadelfia, Il lavoro non è una merce,  sancita dall'Organizzazione internazionale del lavoro, ha un valore, allora è dato obbligo a tutti i governi e istituzioni internazionali di considerarlo tale. Il diritto del lavoro e le politiche del lavoro devono essere indirizzate al rafforzamento di tale principio.

Karl Polanyi nel suo famoso testo, La grande trasformazione, scriveva: Permettere al meccanismo di mercato di essere l'unico elemento direttivo del destino degli esseri umani e del loro ambiente naturale e perfino della quantità e dell'impiego del potere di acquisto porterebbe alla demolizione della società. La presunta merce "forza-lavoro" non può infatti essere fatta circolare, usata indiscriminatamente e neanche lasciata priva di impiego, senza influire anche sull'individuo umano che risulta essere il portatore di questa merce particolare. Nel disporre della forza-lavoro di un uomo, il sistema disporrebbe tra l'altro dell'entità fisica, psicologica e morale "uomo" che si collega a questa etichetta".


Gallino ad una presentazione del suo libro, Il lavoro non è una merce.

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