domenica 2 marzo 2014

La teoria del dolore


Quando ho letto le dichiarazioni del nuovo ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, circa la bontà della politica di austerità adottata dai governi : "Il consolidamento fiscale sta producendo risultati, il dolore sta producendo risultati", mi sono chiesto che cosa sia la "politica del dolore", se dovrebbe riguardare tutti e, soprattutto, quanto sia efficace.
 Ricordo che non molto tempo fa il Fmi, attraverso la propria presidentessa, affermò che tale politica non aveva dato i risultati sperati e che in politichese non è altro che un patetico tentativo per dire che è stato un insuccesso, che è stato un  tragico errore.  Poi leggo anche che il premio nobel, Paul Krugman, risponde al nostro futuro ministro dichiarando che : "A volte gli economisti in posizioni ufficiali danno cattivi consigli; a volte danno consigli molto, molto cattivi; e talvolta lavorano presso l'Ocse", e altri Nobel contrari alla rigida austerità imposta, come Stiglitz. Ammetto che non sapevo neanche che esistesse il nostro nuovo ministro dell'Economia, quindi sono andato a leggermi qualcosa e se è vero che ha avuto una parte importante nelle scelte della crisi argentina e di quella greca, allora capisco la sua nomina, perché sarebbe la continuità per i poteri forti, che sostengono il nuovo presidente del Consiglio, del maggior arricchimento per la bassissima percentuale più ricca del mondo. Quindi mi sono fatto l'idea che l'applicazione della "teoria del dolore" sia la nuova forma di "necessità" del mantenimento dello status quo della parte più ricca, scaricando sul resto del mondo le crisi da loro create. L'abilità sta nel farla comprendere alla maggioranza dei lavoratori, nel trasformarla in un'esigenza improcrastinabile, in un dovere di tutti a rendersi più poveri per arricchire i più ricchi; annientare i diritti acquisiti dai lavoratori, additandoli come la conseguenza della crisi, diventa imperativo e chiedere sacrifici (dolore) è necessario. Creare povertà, paura del futuro, insicurezza e, soprattutto, instillare nelle menti delle persone che il lavoro non c'è per tutti e che ci saranno i privilegiati e i condannati, inebetisce e rende deboli, ponendo uno contro l'altro a sbranarsi per la sopravvivenza. 
Giacomo Leopardi, che aveva una concezione meccanicistica del reale e che riteneva che non esistesse il male ma solo la tragicità dell'esistenza, scriveva: "Che cos'è la vita? Il viaggio di uno zoppo e infermo che con un gravissimo carico in sul dosso per montagne ertissime e luoghi sommamente aspri, faticosi e difficili, alla neve, al gelo, alla pioggia, al vento, all'ardore del sole, cammina senza mai riposarsi dì e notte uno spazio di molte giornate per arrivare a un cotal precipizio o un fosso, e quivi inevitabilmente cadere " (Zibaldone dei pensieri). Il dolore della tragicità della vita come inevitabile, come lo era per i lavoratori della terra prima della rivoluzione industriale e all'inizio della stessa, quando venivano ammucchiati nelle fabbriche, sfruttandoli e trasformandoli in merce da utilizzare e condizione da loro accettata come destino, come fatto naturale.
Con Arthur Schopenhauer, la cui concezione metafisica del reale lo porta a considerare il mondo come male e all'esistenza di una volontà malvagia: "L'esistenza ha certo come suo ultimo scopo il dolore: ove così non fosse, dovremmo dire che le manca la ragione d'essere al mondo. Ed invero, come ammettere che l'infinito dolore scaturente dalla miseria, di cui è intessuta la trama d'ogni vita quaggiù, non sia se non una mera accidentalità, e non piuttosto ne costituisca la finalità? Ogni singolo malanno, preso in sé, si presenta innegabilmente come fatto d'eccezione, ma in linea generale è regola la sventura" (Il mondo come volontà e rappresentazione), si ha una sorta di speranza, perché se esiste la volontà malvagia esiste pure quella benevola. Il dolore dei lavoratori che prendevano coscienza, che lottavano per un lavoro migliore, per una vita migliore e per diventar parte di qualcosa.
Poi è arrivato il 1900, il secolo del lavoro, con i suoi trent'anni d'oro, nei quali sembravano essersi consolidati diritti legittimi, combattuti con ogni mezzo dal capitale e osteggiati dal potentato finanziario...e la teoria del dolore, come "mera accidentalità", doveva essere messa al rogo, come il libro nelle dittature più nere, per non alimentare speranze di equità e giustizia, che non sono certo elementi fondanti della ricchezza di pochi.
La tragicità della cosa non è tanto nella battaglia del capitale ai diritti dei lavoratori ma nella trasformazione della sinistra, nel suo scolorimento precoce, nel tradimento di certi valori: basti guardare alle vicende del Pd,  al congresso del Pse che si sta svolgendo a Roma e dentro il quale dovrebbe convogliare il partito di Renzi e al quale aderisce il Presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, che avverte: "Una coerente politica di consolidamento fiscale (dolore!) e di riforma per una maggiore competitività resta importante. Da parte di tutti gli stati membri sono necessari, pertanto, ulteriori sforzi (maggior dolore alle famiglie)"!
Talvolta è veramente difficile credere che chi fa le leggi, chi è in posizioni ufficiali o preposto a dosare "il dolore" agli altri sappia effettivamente cosa stia facendo, che ricaduta abbiano le loro decisioni su chi le deve subire...e semmai, medici infelici, sappiano veramente che sia il dolore!



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