lunedì 15 aprile 2013

La sinistra ha un futuro?


Ormai sono vent’anni che la sinistra non c’è! Anzi, esistono tante sinistre: piccole cellule, convinte depositarie di verità che solo pochi eletti possono condividere. Segretari di micro-partiti che si sono rintanati per stare  lontani da un mondo che non li capisce: non sono loro che hanno sbagliato, che non sanno più dire niente di nuovo, che non sanno più parlare ai giovani, che hanno tempi di reazione da ultra-centenari (si veda l’analisi della totale e incontestabile, se non annunciata, disfatta elettorale). 

Propongono una “rivoluzione”? Ma quale? Con che cosa? Con chi? Neanche la sconfitta più clamorosa li schioda dalle loro posizioni, perché si sentono i discepoli delle massime filosofie e unti a spiegarle. Devono essere veramente indecifrabili se non riescono non solo a raggiungere il cuore ma nemmeno la pancia delle persone. Quanti mesi dovranno ancora trascorrere prima si rendano conto di aver fallito?
Le piazze le hanno lasciate a Grillo, i teatri agli altri partiti…e per loro solo qualche sperduto bar di periferia. Un tempo era la strada, la piazza, l’università, il quartiere, il cancello della fabbrica il luogo del confronto…oggi metteteci pure il web…ma date un segnale di vita…dite che siete ancora vivi!
Da tempo vi avevo dimenticati…molti vi hanno dimenticati…pochissimi riescono a capirvi !
Da poco, e per caso, ho conosciuto un giovane, Simone Oggionni, portavoce nazionale dei Giovani Comunisti che nel post, Dissento, scrive: “Dobbiamo fare altro, radicalmente. Cambiare modo di ragionare. Dovremmo avere il coraggio di indicare e praticare una prospettiva nuova. Tentando, in primo luogo, di fare quello che abbiamo scritto e votato nel documento conclusivo dell’ultimo Comitato Politico Nazionale: collocare la questione comunista, la nostra identità e la nostra azione dentro l’impresa di costruire una nuova soggettività unitaria della sinistra. Ma non per rivolgersi ancora una volta ai gruppi dirigenti dei micro-partiti sconfitti della sinistra, ma facendo finalmente un bagno di vera e umile immersione nella società, nei movimenti, nelle associazioni, tra i giovani e tra le intelligenze che animano in ogni territorio – con sofferenza e grande passione – un’idea di opposizione sociale credibile alle politiche del neoliberismo e dell’austerità”.
E’ con lui che ci confrontiamo per capire se la sinistra ha ancora un futuro.

 Innanzi tutto, chi è Simone Oggionni?

Un militante della sinistra che prova a dare il suo contributo per cambiare molte delle cose che non vanno. Un tempo era sufficiente definirsi in relazione a ciò che si voleva cambiare del mondo esterno a noi. Oggi, dato che il problema siamo innanzitutto noi (perché la sinistra italiana ha sin qui fallito e si è completamente persa), dobbiamo provare a dire chi siamo anche rispetto a ciò che proponiamo per superare i nostri limiti e le nostre difficoltà.

Scusa se anticipo domande, apparentemente sparse, ma di interesse del blog. Reddito minimo garantito o reddito di cittadinanza?

Reddito minimo garantito, come è scritto in una proposta di legge di iniziativa popolare ora consegnata alla discussione parlamentare della quale sono – insieme ad altri – firmatario e promotore.
Il tema, a mio avviso, è affermare il principio per il quale anche chi è disoccupato e chi è in cerca della prima occupazione ha diritto ad una forma di reddito che gli garantisca una vita dignitosa.
Diffido del reddito di cittadinanza perché scinde totalmente la questione del reddito dalla condizione lavorativa.
Penso invece che l’obiettivo prioritario della sinistra debba essere quello della piena e buona occupazione (con livelli salariali adeguati). Da questo punto di vista anche il reddito minimo garantito va integrato da una parte con l’introduzione di un salario minimo orario intercategoriale e dall’altra con un intervento diretto e coraggioso dello Stato sul terreno dell’occupazione e dell’economia.
Diritto al reddito, quindi. Ma anche diritto al salario e al posto di lavoro.  

Secondo te un Welfare come strumento centrale per una società “dignitosa” sarà possibile con un mercato del lavoro che sembra sempre più concentrato su pochi(core workers) e moltissimi periferici (peripheral workers)?

Certamente questa è la sfida che dobbiamo giocare. Ritengo che il welfare universalistico sia tutt’altro che superato: non è un’anticaglia del secolo scorso, come qualcuno sostiene anche a sinistra. Certamente va ripensato, attualizzato, adeguato innanzitutto alla nuova condizione produttiva del Paese. Ma chi dice che non possiamo più permetterci di sostenerlo – e propone più mercato e magari un welfare residuale – mente sapendo di mentire, perché in cuor suo non è disposto a scelte, forti sul piano della collocazione di classe, che invece andrebbero fatte. Come pago il sistema previdenziale? Ma perché nessuno dice che il fondo pensionistico dei lavoratori dipendenti è in attivo mentre quello dei dirigenti d’azienda è in deficit clamoroso? Perché nessuno vuole mettere in discussione il fatto che gli operai pagano tanti contributi e ottengono in cambio pensioni misere, mentre i capi versano pochi contributi e ottengono in cambio pensioni d’oro. Questo è soltanto un esempio. Ma il punto è questo: i soldi nel Paese per finanziare uno Stato sociale equo ed efficiente ci sono. Vanno presi però nelle tasche giuste. 

Esiste una flessibilità “buona”?

No, non credo esista una flessibilità buona e non ho mai creduto ai cantori della flexsecurity, soprattutto quelli italiani. La flessibilità – penso soprattutto al nostro Paese – ha portato con sé sempre una dose inaccettabile di precarietà. Il problema è che il nostro Paese è pressoché privo di una cultura imprenditoriale che consenta di utilizzare la flessibilità lavorativa come strumento di crescita delle opportunità e della dinamicità professionale. Ciò che accade nel nord Europa è da noi semplicemente impensabile. Qui un contratto a progetto è quasi sempre un contratto precario, con salario basso e tutele basse.

Cosa ne pensi dello scontro generazionale? Esiste o si è voluto farlo esistere permettere l’un contro l’altro padri e figli, con l’intento di dividere due generazioni che, insieme, sarebbero state una massa minacciosa?
     
Lo scontro generazionale sarebbe utile a livello politico, nel senso che bisognerebbe alzare di più la voce contro una classe politica – lo dico pensando prevalentemente a sinistra – che è soggettivamente responsabile della condizione drammatica in cui siamo. Ma a livello sociale lo scontro tra generazioni serve appunto per frammentare le classi popolari, mettere i padri contro i figli e non i padri e i figli, uniti, contro queste politiche devastanti. Certamente, alzare l’età pensionabile non mi sembra un grande incentivo alle nuove assunzioni e non mi sembra una grande risposta al bisogno di occupazione che c’è a livello giovanile.

Si parla tanto della crisi della famiglia, ma com’è possibile che non lo sia, se al padre non viene garantita la possibilità di mantenerla, se ai figli viene negato il futuro e se alle donne non solo viene negato il lavoro ma, qualora lo abbiano, molte di loro sono impiegate nei servizi e nel commercio, con orari e turni che concedono poco alla condivisione delle attività familiari?

Sono perfettamente d’accordo con te. È questa l’obiezione che muovo a quelle forze sedicenti moderate e cattoliche che dicono sempre che la priorità è la difesa della famiglia. La famiglia la difendi veramente se dai lavoro ai giovani, tutele e diritti ai lavoratori, in particolare alle donne, e consenti alle coppie di prendere in affitto o comprare una casa, di iscrivere all’asilo il proprio figlio. Siamo il Paese della doppia morale: si dice di volere difendere la famiglia ma si contrastano, sul piano economico e sociale, tutte le proposte che vanno in quella direzione.

Per costruire nuovi posti di lavoro si parla sempre di “crescita”, ma ormai lo sfruttamento della terra e il consumo delle risorse è ben al di là delle possibilità. Ci dovremmo concentrare ad inventare lavori che riparino ai danni che abbiamo creato. Non sarebbe più opportuno parlare di decrescita?

Capisco la logica della tua obiezione ma non mi convince. Pensiamo al caso dell’Ilva di Taranto, che è dal mio punto di vista paradigmatico. Là ci sarebbero da investire straordinarie risorse (di Riva ma anche dello Stato) per bonificare la fabbrica e il territorio – e da questo punto di vista hai completamente ragione tu – ma anche per rilanciare quell’impresa modificando e ammodernando, come avviene per esempio in Germania, i macchinari, rendendoli compatibili con la sicurezza dei lavoratori e con l’ambiente. Anche con l’industria siderurgica puoi decidere cosa produrre e per chi produrre. Questo modello di sviluppo, che ha distrutto terra, territorio e risorse, non funziona più. Bisogna pensare ad un nuovo modello di sviluppo – che non deve certo inseguire l’obiettivo della decrescita – che coniughi sviluppo, occupazione e tutela dell’ambiente.

Se è vero che oltre un terzo degli elettori di Grillo sono giovani e meno giovani di sinistra, dov’è che quest’ultima ha sbagliato? Ingroia è stato e meno male che non lo sarà, se ci saranno di nuovo le votazioni, il candidato…ma veramente lo ritenevi il leader giusto?

Il problema è molto più profondo. Non possiamo cavarcela facendo autocritica rispetto agli errori degli ultimi mesi. Per quanto riguarda la nostra lista, Rivoluzione civile, penso che se non ci fosse stato Antonio Ingroia non avremmo preso neppure la percentuale – irrisoria – che abbiamo preso. Il dramma è ancora più grande: non è soltanto colpa di scelte contingenti (anche chi ha fatto scelte diverse, con leaders diversi, penso a Sel, ha fatto un buco nell’acqua), ma di una serie lunghissima di errori fatti dai gruppi dirigenti della sinistra in questi venti anni. Avevamo il più grande partito comunista d’Occidente e ci troviamo con un Pd senza anima e comunque incapace di vincere e una serie di microformazioni alla sua sinistra del tutto autoreferenziali e incapaci di incidere. Da qui bisogna partire: da una critica (e autocritica) impietosa ai gruppi dirigenti che hanno diretto la sinistra sin qui. E dal coraggio di cambiare. Certo non bastano facce nuove – serve a monte un nuovo progetto complessivo, nuove idee, nuovi linguaggi, nuovi riferimenti e nuove pratiche – ma senza un cambiamento di questo tipo non andremo da nessuna parte. Non avremo neppure la forza di avviare una riflessione sul cambiamento complessivo.

E’ solo una curiosità. Spesso, quando vado su blog/siti di sinistra e leggo i commenti mi annoio: sembrano enciclopedie, trattati di filosofie ormai lontane, libri stampati…talvolta non sarebbe meglio parlare al cuore e alla pancia delle persone?

Parlare al cuore sì, sempre. Non dimentichiamoci che la politica, almeno per noi, è un fatto innanzitutto di passione per il nostro popolo, per l’ideale di giustizia e di eguaglianza che ci spinge a sacrificare tanto: affetti, energie, tempo. Alla pancia no, parlare alla pancia solletica gli istinti, che spesso nell’uomo sono animali. E portano a destra, quasi sempre.

Cosa intendi quando scrivi “Dobbiamo […] cambiare modo di ragionare. Dovremmo avere il coraggio di indicare e praticare una prospettiva nuova”?

Tante cose. Penso che siamo alla chiusura di un ciclo storico. Le sconfitte della sinistra negli ultimi anni parlano di errori soggettivi ma anche di cambiamenti profondi nella società, nell’economia, nella cultura che la sinistra per come la conosciamo non è stata in grado di capire ed interpretare. Non è pensabile riproporre gli schemi non solo di cinquant’anni fa, ma neppure di venti, dieci anni fa. È cambiato il mondo. Ci sono diversi equilibri internazionali, una diversa composizione del mondo del lavoro, nuove modalità di relazionarsi tra gli individui, nuovi valori e disvalori diffusi. Forse ci piacerebbe – perché è rassicurante – pensare di poter riproporre un partito comunista di massa con le sezioni, le case del popolo, il dopolavoro, le sue liturgie, i suoi linguaggi, i suoi miti. Ma si è disgregata e parcellizzata la società, la classe di riferimento. Va ricostruito tutto, ma dato le domande sono cambiate, insieme ai soggetti che le formulano, devono cambiare necessariamente anche le risposte. È un lavoro di prospettiva lunghissimo, vanno ricostruiti un pensiero, categorie di lettura, pratiche, linguaggi, ruoli, modalità di coinvolgimento politico, di iniziativa. Quel che è rimasto di quella storia memorabile e straordinaria non è sufficiente, in sé, a fare germogliare dal suo ventre un soggetto politico all’altezza di ciò che eravamo. E allora bisogna guardare fuori da noi, aprirsi senza paura, interrogare il mondo, la nostra generazione innanzitutto, e con grande umiltà mettersi in ascolto.

Credi veramente che sia possibile “…non per rivolgersi ancora ai gruppi dirigenti dei micro-partiti sconfitti della sinistra”? A me sembra che ognuno di loro sia depositario dell’assoluta verità! Anche Claudio Grassi credo che la pensi come te.

La penso proprio così: qualsiasi proposta che non muovesse dall’assunzione di questa necessità, la necessità della rottura e della discontinuità, è destinata inequivocabilmente a fallire. E se non iniziamo a dirlo noi, a sinistra, lasciamo a Renzi (che avanza ricette vecchissime, più vecchie di quelle proposte da molti di coloro che vorrebbe rottamare) un’autostrada. Ecco, penso che commetteremmo un errore molto grave, che non possiamo permetterci più.

Qual è la tua idea di “opposizione sociale credibile alle politiche del neoliberismo e dell’austerità”?

La chiave è la credibilità. Quante volte ci raccontiamo cose estremamente condivisibili o abbiamo posizioni impeccabili (sul tema della pace, dei salari, delle pensioni, del lavoro) ma riceviamo in cambio tante pacche sulle spalle e pochissimi voti? Troppe. Sai perché? Perché non siamo credibili: perché militiamo in formazioni politiche che, anche a causa del fatto che sono tra loro divise e con un consenso ciascuna di esse del tutto irrilevante, non hanno alcuna possibilità di realizzare quel che propongono. Neppure la sacrosanta e necessaria opposizione sociale alle politiche di tagli e di rigore che ci stanno imponendo. La credibilità la conquisti con persone credibili, con programmi credibili e avendo alle spalle una massa critica significativa, un peso e una forza che ti fa percepire come soggetto utile ai lavoratori, nella società. Quel che io contesto è che spesso non ci poniamo neppure il problema di come ottenere questa credibilità e di come ottenere quella massa critica che è necessaria. Ci ripetiamo che siamo nel giusto, e continuiamo a dircelo – con le stesse facce e le stesse parole di vent’anni fa – anche quando prendiamo l’1% alle elezioni.

Se il tuo dissenso non ricevesse l’attenzione dei gruppi dirigenti del tuo e degli altri micro-partiti…che farai?

Quel che mi interessa più di ogni altra cosa è il consenso della nostra gente, dei nostri compagni e di tanti che hanno deciso di non iscriversi più ai partiti della sinistra – addirittura di non votarli più – perché delusi e sfiduciati. I fatti hanno la testa dura e questo è un fatto. Con i fatti in politica tutti devono prima o poi confrontarsi.

Per curiosità: Vendola potrebbe essere un interlocutore nel tuo progetto?

Certamente, Sel è un interlocutore importante. Mi auguro che Vendola non scelga la strada più semplice e cioè quella di sciogliere Sel dentro il Partito democratico, rinunciando ad ogni prospettiva di trasformazione e di critica allo stato di cose presenti. Anche il suo risultato elettorale molto deludente dovrebbe fare riflettere: non è rincorrendo i moderati sempre più a destra che si costruisce la sinistra.

Un’ultima e forse banale domanda: ma tu credi davvero che la sinistra abbia un futuro?

Assolutamente sì. Quando leggo che nel nostro Paese cresce a dismisura il numero delle ragazze costrette ad abortire perché non hanno i soldi per crescere il proprio figlio o perché temono di perdere il posto di lavoro mi dico che non possiamo rimanere fermi. C’è un bisogno di sinistra clamoroso, esorbitante. Se questo bisogno corrisponderà ad una risposta all’altezza è responsabilità nostra, di tutti noi. Penso sia un valido motivo per dedicare a questa ambizione una vita intera.

Ti seguirò con molta attenzione, passione e curiosità, perché sono convinto che tu sia assunto un impegno titanico. Grazie di avermi concesso l’intervista.


1 commento:

  1. Bravo Oggionni: lo ripeto da tanto, secondo me lui è l'unico che può fare in futuro il segretario non solo di RifondazioneComunista ma di un nuovo partito della sinistra italiana. Avanti così

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