giovedì 19 gennaio 2012

Più lavoro e meno chiacchiere

Per il Fondo Monetario Internazionale, l'Italia andrà incontro a due anni di recessione, nel 2012 e 2013. Quest'anno la contrazione del Pil sarà del 2,2%, con un taglio di ben 2 punti e mezzo, rispetto alle stime di settembre scorso. E in segno positivo non tornerà nemmeno nel 2013, quando il Pil subirà un ulteriore calo dello 0,3%.
In "Noi Italia", l'Istat fornisce una serie disarmanti di statistiche, che è bene leggere prima di addentrarci in alcune considerazioni circa la riforma del lavoro. 
Nel 2010 sono occupate 6 persone su 10, in età lavorativa, pari al 61,1% del totale. 
La disoccupazione cresce per il terzo anno consecutivo, l'8,4%, anche se è un valore inferiore alla media europea.
La metà dei disoccupati è senza lavoro da oltre un anno ( 48,5%), e si posiziona al sesto posto tra gli Stati europei: dal 2009 al 2010 la disoccupazione di lunga durata è aumentata del 4%.
I Neet sono il 22,1%, pari a 2 milioni di giovani (1 su 5): rispetto all'eurozona è il valore maggiore e secondo in Europa, dopo la Bulgaria.
Nel 2010 il tasso degli inattivi è stato pari al 37,8%, che ci pone al secondo posto in Ue, appena dietro a Malta. In questo influisce molto  il fatto che l'Italia è un paese vecchio.
Il tasso di occupazione è sotto l'obiettivo europeo di 14 punti: la soglia europea doveva essere al 75% entro il 2020.
Le donne al lavoro sono il 49,5% e gli uomini il 72,85. Valori che evidenziano una forte disparità di genere.
Il lavoro irregolare è pari al 12,3%: per il Sud si tratta di un lavoratore su cinque (nel caso dell'agricoltura, un lavoratore su quattro).
L'11% delle famiglie italiane è in condizioni di povertà relativa: 8,3 milioni di individui, pari al 13,8% della popolazione. Una cifra enorme.
La povertà assoluta coinvolge il 4,6% delle famiglie, che equivale a circa 3,1 milioni di persone. Una cifra disarmante.
Non è assolutamente da dimenticare che anche la scuola è ben lontana dagli obiettivi europei.
A fronte di dati che è un eufemismo considerare drammatici, fa piacere che il governo, il Pd "ufficiale", rappresentanti del Pd "ufficioso" e sindacati si stiano scannando per definire se sia meglio facilitare l'entrata o l'uscita per creare lavoro. 
Alla proposta di Ichino, senatore del Pd e dell'area "riformista", fa da contraltare quella del Pd ( tanto per semplicità di intendimenti!), che mette il contratto di ingresso per i giovani e il contratto di reingresso per chi ha perso il lavoro, entrambi di massimo tre anni. Poi, tempo indeterminato e licenziamento solo con giusta causa. 
Naturalmente il Governo, prendendo il disegno di legge di riforma suggerito da Tito Boeri e Pietro Garibaldi, propone un suo piano , in cui si prevede un contratto unico di ingresso a due fasi: una di ingresso, con durata fino a tre anni; e una seconda fase di stabilità, in cui il lavoratore godrà di tutte le tutele che oggi sono riservate ai contratti a tempo indeterminato. Durante la fase di ingresso, in caso di licenziamento con motivazioni che non siano di tipo disciplinare (giusta causa), il datore di lavoro non avrà l'obbligo di reintegrare il dipendente ma potrà risarcirlo pagando una specie di penale pari alla paga di cinque giorni lavorativi per ogni mese lavorato.In caso di una fase di ingresso di tre anni, il licenziamento dovrà essere risarcito con sei mesi di mensilità.
Per i sindacati, il contratto unico è un inganno....e come fa a non esserlo! 
Per il sindacato  è l'apprendistato il canale di ingresso al lavoro per i giovani. Pensare che il contratto unico sostituisca gli attuali 46 contratti è pura filosofia. Quello che il governo dovrebbe fare è di rendere appetibile e affidabile, attraverso incentivi economici, l'apprendistato, come formazione del nuovo assunto, rimanendo, quale sbocco naturale, il contratto a tempo indeterminato.
Ora, mentre la disoccupazione aumenta, i Neet ingrossano le fila e le famiglie coinvolte nella povertà assoluta aumentano, la priorità non è filosofeggiare sul nuovo contratto del lavoro. La gente ha bisogno di lavorare subito, anzi, ieri. Certo, è necessario rivedere e costruire un nuovo diritto del lavoro, ma la priorità e le energie di tutti i responsabili devono essere profuse alla ricerca di "nuovi posti di lavoro", senza i quali non vi è scampo! 
Disperdere le energie in contese che stabiliscono "chi ha più ragione" fa perdere di vista il problema principale: ossia il lavoro per mangiare e la dignità persa, che nel lavoro era riposta. Non a caso, dalle Presse di Mirafiori arriva un segnale molto forte, e per certi diversi disarmante, e cioè durante le assemblee indette dai sindacati firmatari dell'accordo specifico della Fiat, i lavoratori presenti (circa 350) hanno votato un ordine del giorno (all'unanimità!) che respinge l'accordo e chiede un referendum libero e senza ricatti tra tutti i lavoratori del Gruppo Fiat. I sindacati firmatari dovranno leggere la sconfitta di oggi in lezione per domani.
Sono numeri e segnali che il sindacato, il Governo e la Confindustria devono leggere nella tragicità dovuta, prima che il malessere sociale diventi un'onda inarrestabile.
La gente non può aspettare la fine delle chiacchiere...





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