domenica 21 settembre 2014

Una guerra tra poveri

In questi giorni il contrasto tra chi vorrebbe l'abolizione dell'art.18 e chi no si legge su tutti i quotidiani e siti web ed è interessante leggere i commenti dei lettori.
Sembra  che si sia scatenata una guerra tra poveri.
Ciò che ritengo folle è quando mettono in risalto che solo 6,5 milioni su 22 sono "tutelati" e questo, anche se in parte vero e con i sindacati che sembrano occuparsi solo dei più fortunati, scatena contro di loro il disappunto, rancore e a tratti odio, di chi si sente meno "fortunato" e confortano, erroneamente, gli autori di questa distorsione: la politica e le imprese. I sindacati hanno avuto il torto di non aver capito la trasformazione e di essersi arroccati nella difesa dei pochi, diventando correi del disastro di oggi. I patetici tentativi di correre ai ripari senza avere concrete politiche sindacali che sappiano chiamare a raccolta i giovani nelle loro svariate sfaccettature lavorative, le divisioni tra i tre maggiori sindacati e il servilismo sfacciato di Bonanni non fanno che peggiorare le cose.

Il vero e reale motivo per cui i giovani sono stati travolti dal dramma del lavoro che non c'è è a causa della cultura d'impresa che finanza, politica e imprenditoria hanno ben strutturato: "L'Italia è diventata un paese nel quale il lavoro è considerato un costo, non una risorsa"  e una lettura del libro di Sergio Bologna, Ceti medi senza futuro?, dal quale saccheggerò alcune idee, sarebbe estremamente illuminante.
E questa è la vera prima anomalia, della quale imprenditori, politici e sindacati sono responsabili.
Il sistema post-fordista è stato concepito come un sistema nel quale devono convivere segmenti di lavoratori "garantiti", anzi, ipertutelati e un segmento maggiore di flessibili e precari, difficilmente difendibili sindacalmente. Se ci fosse flessibilità e precarietà generalizzata si creerebbero le condizioni per far trovare un'unità di lotta. Dividere le condizioni lavorative allontana le battaglie comuni e la classe lavoratrice resta divisa (è questo che il sindacato non ha capito!). L'imperativo è dividere: la politica lo fa molto bene, ciclicamente e nei momenti più critici (ormai sono più di venti anni che lo vediamo); l'imprenditoria ci guadagna, perché assume quando serve, paga meno, licenzia quando vuole e crea le condizioni per tenere gli "ipertutelati" sotto pressione...facendo vedere loro l'inferno del lavoro non garantito. E tutto questo è anche facilitato dalla facilità di reperire manodopera e manufatti a prezzi migliori da paesi maggiormente sfruttabili. Se questo è "logico" per il capitale e la politica, l'assenza e l'impreparazione del sindacato davanti a questa trasformazione è stato un delitto.
E questa è la vera seconda anomalia.
Nel 1993, e non c'era ancora Berlusconi a fare maggiori danni, fu sottoscritto l'accordo sul costo del lavoro. Da parte del sindacato fu un gesto sensato, in quanto l'obiettivo era quello di fermare i salari per dare maggior respiro agli imprenditori per rafforzare e consolidare le loro imprese; investire in tecnologie avanzate e qualità. Avvenne tutto il contrario, tanto che l'allora Direttore Generale di Confindustria, Cipolletta, ebbe a dire: "Non ho difficoltà ad ammettere che il vantaggio maggiore di quell'accordo fu per le imprese. Il blocco dei salari, unito alla svalutazione della lira che si ebbe successivamente, consentì alle aziende un recupero di competitività gigantesco" (sempre dal libro di Sergio Bologna). Il risultato di tutto questo? I salari sono rimasti fermi, le imprese si sono rarefatte, sgretolate e frammentate; è cresciuta a dismisura la finanziarizzazione. 
E questa è la vera terza anomalia, perché l'accordo l'ha rispettato solo una parte e dopo vent'anni i salari italiani sono i più bassi dei paesi Ocse.
La politica, che è da sempre il bastone d'appoggio della finanza, non ha mai fatto niente per i giovani che rendeva tanto flessibili da renderli precari e, per quanto li esortasse a investire il loro tempo e la loro intelligenza su nuove strade lavorative, non creava tutele e sostegni per sostenere i loro sforzi. La parola d'ordine era l'elogio del lavoro flessibile, perché avrebbe arricchito di chissà quale esperienza, contrariamente al lavoro indeterminato che rendeva bestie da soma a svolgere sempre lo stesso lavoro.  Sono sufficientemente vecchio   per sostenere che questa è la boiata più pazzesca che abbia mai sentito. 
L'obiettivo della politica e del capitale è di dividere i due mondi e tenerli in contrasto, in modo che non possa più esserci, in futuro, una nuova classe di "lavoratori insoddisfatti" che, uniti, potrebbero far risorgere il trent'anni gloriosi nei quali la classe operaia lottava e  vinceva per i diritti e le tutele. Ripetere ciclicamente che il motivo per cui i giovani  non hanno lavoro è a causa dei pochi che l'hanno "protetto" è una cialtronata che mi rimane difficile pensare che sia credibile. Cercare un capro espiatorio è l'hobby di chi non sa fare il proprio mestiere o che è uso alla menzogna, e la politica e una buona parte dell'imprenditoria è maestra in questa arte. 
E questa è la vera quarta anomalia, perché non vogliono che le "tutele" siano estese a tutti e 22 milioni di lavoratori.
Ci sarebbe una quinta e vera anomalia, che tocco e fuggo, perché porterebbe lontano.
I pensionati sono troppi rispetto ai lavoratori per cui si manda in pensione più tardi, ma ci si dimentica che con le tasse pagate con le loro pensioni risultano tra i maggiori contribuenti. 
Il lavoro è diminuito, i salari pure, i giovani non si costruiscano un futuro, ma politici e manager si sono moltiplicati i loro stipendi (sono i più pagati al mondo!). Eppure è da loro che si sentono i richiami al sacrificio, alla flessibilizzazione, alla facilità al licenziamento e pontificano da convegni e incontri, ma si dimenticano di dire ciò che guadagnano e ciò che non pagano in tasse, grazie alle loro dimore fuori dal nostro paese (come l'Ad di Fiat, che grazie al fatto di vivere in Svizzera, paga poco più del 12% su 50 milioni di euro; pensare che l'Ad di Wolkwagen ne prende meno della metà, l'azienda va molto meglio di Fiat e paga le tasse in Germania!).
Le banche e la finanza, ree del disastro che ha colpito il mondo occidentale, sono state ripianare con i soldi pubblici...e considerato che i lavoratori e i pensionati sono gli "unici e certi" che pagano le tasse...quelli erano soldi loro! Però non c'erano per creare lavoro.
Se la politica, dama di corte della finanza, volesse combattere la corruzione, l'evasione, l'economia illegale e l'esportazione dei capitali in paradisi fiscali, ci sarebbero soldi non solo per coprire le tutele  di 22 milioni di lavoratori ma anche per dare una casa a tutti.
Non so che cosa stia dicendo Renzi e i suoi accoliti, ma è certo che smuovere l'art.18 per coprire la sua incapacità è un brutto gioco. E' pur vero che ormai siamo abituati a farci prendere in giro, ma arriverà il momento in cui le persone si sveglieranno o, semplicemente, si stuferanno dei soliti berlusco-renziani slogan e si porranno delle domande.




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