Il
perdurare della crisi e la lunga recessione, che non sembra dare ancora segnali
di ripresa, ha messo in ginocchio il nostro sistema industriale. Per molte
imprese è stato e sarà un periodo di preoccupazioni e di difficile gestione.
Ormai tutti sembrano concordare che il mercato subirà profondi cambiamenti e
che sarà impossibile ritornare alle condizioni pre-crisi. Molti mercati
subiranno drastici ridimensionamenti e molti economisti sono convinti che ci sarà
un “ritorno all’essenziale” (back to basics), con un conseguente calo dei
consumi e una crescente attenzione per l’etica e l’ambiente, che sarebbe
encomiabile se non fosse considerato solo un biglietto da visita, ma una
reale esigenza e un obiettivo veramente sentito. Certo, le vicende che
leggiamo sui giornali, come il Rana Plaza in Bangladesh o la Foxconn in Cina,
sembrano dimostrare che si sia “spostato il problema” in paesi consenzienti e
meno costosi, piuttosto che implementare con convinzione il Codice Etico e la
Responsabilità Sociale nelle proprie aziende.
Ma
quali aziende si sono salvate o riusciranno ad uscire indenni dalla drammatica
recessione di questi anni?
E’
indubbio che il lungo periodo di crisi ha creato enormi preoccupazioni alle
imprese, che si sono trovate a gestire un calo significativo delle vendite e
del fatturato, importanti difficoltà finanziarie, con la conseguente necessità
di abbattere i costi, l’esigenza di rendersi più snelle ed efficienti, oltre
all’esigenza di investire tempo e
soldi per analizzare i cambiamenti in atto, individuare le strategie da
adottare e non solo con la logica del breve termine (quello della Sopravvivenza),
ma con l’obiettivo di impostare una strategia sostenibile anche nel futuro.
Si
stanno salvando e forse usciranno dalla crisi solo quelle aziende che hanno
potenziato la cosiddetta “intelligence”, cioè la capacità di osservare,
analizzare comprendere cosa stava o sta succedendo nel proprio ambito (clienti,
fornitori, concorrenti, mercato e settore);
ed hanno avuto la capacità di fare scelte rapide, intelligenti, attente alle
variazioni richieste e, soprattutto, con un occhio sempre al di là del breve
termine. Parallelamente, però, hanno saputo anche ridurre intelligentemente i
costi operativi e non tagliando trasversalmente con il solo scopo di “risparmiare
in senso assoluto”, soprattutto a livello del personale. Molte di queste
aziende si sono trovate, successivamente, a non avere più personale addestrato
pur riacquistando il lavoro!
Un’altra
componente essenziale è l’innovazione, ma non solo quella intesa come
innovazione del prodotto o servizio offerto tradizionalmente dall’azienda, ma
anche come capacità di individuare e lavorare sulle poche priorità sinergiche,
per sfruttare al meglio le poche risorse disponibili e fare in modo che siano
coerenti alle strategie produttive, dimensionali e temporali attivate in fase
di progetto per acquisire quel vantaggio competitivo necessario. Ciò permette
di uscire dalla massa dei competitors, dove
ciò che conta è solo il minor costo del prodotto o dei servizi offerti, entrando
in una competizione folle che vede solo sconfitti. Le imprese vincenti si sono
concentrate a generare continuamente “value
proposition” innovative: rinnovando la propria offerta di prodotti o
servizi; aumentando la gamma dei prodotti, il livello innovativo, tecnologico o
creativo; aziende finanziariamente forti hanno spinto nell’automazione per
aumentare fortemente la produttività, così da offrire la stessa qualità ad un
prezzo inferiore.
Le
aziende italiane, spesso molto piccole di dimensioni e operanti in particolari
nicchie di mercato, si sono sempre più specializzate, restringendo o, meglio,
rendendo più profonde le nicchie in cui potevano operare solo loro o poche di
loro ma aumentandone il numero (Strategia delle mille nicchie), riducendo il numero
dei possibili concorrenti obbligati a lavorare con prodotti standard. Alcune di
loro si sono concentrate sulla personalizzazione dei prodotti. Poche,
purtroppo, ma qualcuna ha optato per soluzioni di cooperazione con altri partners, unendo sinergie complementari,
dividendo i rischi e gli investimenti.
In
questa sintesi, così breve e stringata da essere imbarazzante, si spiega il
successo di poche aziende e il motivo per cui alcune di esse hanno cavalcato la
recessione e forse ne usciranno più forti di prima…anche perché al termine
della crisi, sempre che ci si arrivi, molti concorrenti saranno spariti e, per
quanto il mercato sarà ridimensionato, per le poche rimaste sarà più che
sufficiente.
Perché
in Italia e in Europa sono aumentati e continuano ad
aumentare i disoccupati? Perché in Italia e in Europa sono aumentati e continuano ad aumentare i poveri? Nella sola
Europa, alla fine del 2013 si dovrebbero attestare sui 120 milioni! Per il
semplice motivo che sono poche le aziende che si possono iscrivere fra quelle
virtuose che si sono prodigate a sviluppare ciò che si è scritto in precedenza.
Le rimanenti, per incapacità, dimensioni, obsolescenza, superficialità e
stoltezza non sono state all’altezza del loro compito. Se a queste si
inseriscono quelle aziende che negli anni pre-crisi si erano sempre più
staccate dalla manifattura per dedicarsi alla finanza o quelle che avevano
preferito paesi con manodopera a minor costo o costo servile, è difficile pensare
che in un momento di crisi possano contare su una struttura produttiva idonea o
su una fidelizzazione del personale e, tanto meno, contare sull’intelligenza
dei lavoratori che “loro stessi” non hanno mai voluto e coltivato…produrre e
offrire qualità, analizzare strategie di diversificazione dei prodotti e dei
servizi, monitorare le nevrotizzazioni del mercato e dare immediate risposte
non si fanno con gli “sfruttati da due soldi”, ma servono uomini preparati,
capaci, motivati, fidelizzati, che sappiano fare il proprio lavoro…che si
sentano parte integrante…che siano motivati! E in tutto ciò molte aziende
italiane non solo hanno peccato, ma, se dovessero mai salvarsi, dovranno
ripensare i rapporti con il personale. E dovranno chiedersi se sia valsa la
pena e se lo varrà ancora in
futuro di non avvalersi dell’intelligenza dei lavoratori.
Se
all’incapacità di molte aziende si aggiunge la dissennatezza delle banche,
corree con la finanza delle criminali speculazioni che hanno dato il via ad una
terribile crisi e dalla quale sono state salvate grazie agli interventi dei
governi, spremendo i soldi da quelle che erano le vittime, i lavoratori; se
pensiamo che si è preferito (obbligati?) regalare una montagna di soldi alle
banche, senza deviarne una buona parte ad aziende che sarebbero state salvate o
aiutate a salvarsi e che molte di esse sono fallite e i loro proprietari
suicidati perché non venivano pagate per lavori svolti allo Stato; se poi ci
aggiungiamo anche l’incapacità (o collusione?) dei governi, che niente hanno
fatto per creare lavoro, renderlo meno costoso o costruire progetti che
facessero scudo al crescere della disoccupazione e della povertà, allora la
risposta che ci siamo posti è ovvia! Forse è facile populismo, idee di una
malsana non-politica, ma avrei proprio piacere che un “sano” politico portasse
al supermercato o dal macellaio i bisognosi e convincesse chi pretende di
essere pagato che lo pagherà la “politica”…a tempo debito! L’unica cosa di cui sono
stati capaci è riassumibile in poche parole: austerità unidirezionale al mondo
del lavoro, imprese comprese (e tanti si chiedono ancora perché non si è moralizzata la politica e la
finanza, tassate le rendite, richiamati a un dovere superiore i ricchi?);
attacco ai diritti dei lavoratori; revisione assurda delle pensioni; e in
Italia, la Riforma Fornero, che adesso dicono essere stata concepita per un
periodo di crescita dell’economia…e che oggi andrebbe rivista perché in fase di
recessione comprometterebbe la ripresa dell’occupazione; distruzione del welfare. Un governo serio, e non solo
italiano, avrebbe dovuto “creare” lavoro e forse l’indicazione di Luciano
Gallino di una sorta di “New Deal” europeo…forse…non sarebbe una follia! Una
delle tante proposte riguarda il riassetto idrogeologico, che ci procura danni
ingenti ogni anno e, magari, un lavoro continuo di aggiustamento e prevenzione
potrebbe essere meno costoso sia in termini economici che di vite!
Difficile
dire quanto possa durare ancora la crisi, ma pur non essendo un esperto è facile
prevedere che sicuramente il numero delle aziende non tornerà più ad essere
quello antecedente al 2008: qualcuno scrive che sarebbe meglio, perché le aziende
che rimarranno saranno più sane, avranno più denaro per investire, creando
nuovi posti di lavoro che sostituiranno quelli persi dalle aziende fallite. Una barzelletta che non fa
più ridere!
La
crisi avrà insegnato che per combatterla serve organizzazione, professionalità,
capacità tecnica, capacità produttiva, capacità organizzativa e una forte
“intelligence”, per cui le aziende avranno interesse a ridurre i costi di
produzione (soprattutto del personale, che sono i più facili da ottenere), pur
mantenendo una maggiore produttività, un’elevata flessibilità, facile possibilità
di diversificare il prodotto, ottenendo un’ottima qualità senza doversi
spostare dal proprio paese, per cui investiranno sempre più in automazione e i
posti di lavoro diminuiranno, proporzionalmente, di più che nel periodo di
crisi. Ciò porterà inevitabilmente ad una netta divisione dei lavoratori : ai core workers (i lavoratori fissi, fidelizzati,
tecnici) e ai peripheral workers (lavori
umili, precari di ogni genere e a tempo),
di non lontana memoria, si dovranno aggiungere vecchie categorie, tornate in
auge, come “servi” (veri e propri
utensili presi a prestito e pagati a ore, ossia gli schiavi dei paesi
occidentali) e “schiavi” (quelli
veri, che si potranno trovare nei paesi accondiscendenti e utilizzabili per la
produzione di materie prime necessarie e/o lavori ritenuti “non etici”
dai benpensanti dell’Occidente).
Qualcun
altro ha scritto che per fare maggiori automazioni serviranno più lavoratori
per le fabbriche del settore, quindi occuperanno i disoccupati prodotti dalle altre aziende: certamente, ma anche in questo settore le
automazioni ridurranno proporzionalmente le assunzioni, perché ormai i robot possono eseguire lavorazioni impensabili solo pochissimo tempo fa.
Le
uniche cose certe che non diminuiscono proporzionalmente sono la disoccupazione e la
povertà e ciò dovrebbe far pensare molto, anzi, moltissimo i governi, perché,
come scrive Luciano Gallino, in Globalizzazione
e disuguaglianze: “…chi pensa di
rendere permanente, quale elemento naturale della nuova economia al tempo
stesso globalizzante e localizzante, un tasso elevato di lavori in vario modo
classificabili come insicuri perché temporanei, precari, non competitivi,
dovrebbe riflettere sul fatto che il senso di insicurezza per il proprio destino
individuale e familiare, unito al tasso di angoscia collettiva che ne deriva, è
stato il motore di alcuni dei più violenti movimenti sociali della storia, di
sinistra come di destra”.
Il paradosso è che le vittime della crisi, i lavoratori, non solo stanno pagando durante la crisi, ma dovranno pagare anche i danni che questa lascerà negli anni a venire e se non prenderanno consapevolezza di questo, solo due cose saranno realmente cambiate:
la finanza, i ricchi, le banche, i governi e le fabbriche saranno più forti di prima e con il vantaggio di aver diviso e distrutto le organizzazioni sindacali e asservito i lavoratori, mettendo l'un contro l'altro il mezzo miliardo di lavoratori occidentali (una volta più avvantaggiati) contro il miliardo e mezzo di lavoratori del resto del mondo (una volta più svantaggiati);
e che alla fine della crisi inizierà sicuramente il periodo della miseria, perché i salari saranno adeguati al ribasso e remunerati per il solo effettivo tempo di lavoro (la logica dell'affitto di manodopera)...e i diritti solo un ricordo!
Il paradosso è che le vittime della crisi, i lavoratori, non solo stanno pagando durante la crisi, ma dovranno pagare anche i danni che questa lascerà negli anni a venire e se non prenderanno consapevolezza di questo, solo due cose saranno realmente cambiate:
la finanza, i ricchi, le banche, i governi e le fabbriche saranno più forti di prima e con il vantaggio di aver diviso e distrutto le organizzazioni sindacali e asservito i lavoratori, mettendo l'un contro l'altro il mezzo miliardo di lavoratori occidentali (una volta più avvantaggiati) contro il miliardo e mezzo di lavoratori del resto del mondo (una volta più svantaggiati);
e che alla fine della crisi inizierà sicuramente il periodo della miseria, perché i salari saranno adeguati al ribasso e remunerati per il solo effettivo tempo di lavoro (la logica dell'affitto di manodopera)...e i diritti solo un ricordo!
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