Ormai sono vent’anni che la
sinistra non c’è! Anzi, esistono tante sinistre: piccole cellule, convinte
depositarie di verità che solo pochi eletti possono condividere. Segretari di
micro-partiti che si sono rintanati per stare lontani da un mondo che non li
capisce: non sono loro che hanno sbagliato, che non sanno più dire niente di
nuovo, che non sanno più parlare ai giovani, che hanno tempi di reazione da
ultra-centenari (si veda l’analisi della totale e incontestabile, se non
annunciata, disfatta elettorale).
Propongono una “rivoluzione”? Ma quale? Con che cosa? Con chi? Neanche la sconfitta più clamorosa li schioda dalle loro posizioni, perché si sentono i discepoli delle massime filosofie e unti a spiegarle. Devono essere veramente indecifrabili se non riescono non solo a raggiungere il cuore ma nemmeno la pancia delle persone. Quanti mesi dovranno ancora trascorrere prima si rendano conto di aver fallito?
Propongono una “rivoluzione”? Ma quale? Con che cosa? Con chi? Neanche la sconfitta più clamorosa li schioda dalle loro posizioni, perché si sentono i discepoli delle massime filosofie e unti a spiegarle. Devono essere veramente indecifrabili se non riescono non solo a raggiungere il cuore ma nemmeno la pancia delle persone. Quanti mesi dovranno ancora trascorrere prima si rendano conto di aver fallito?
Le piazze le hanno lasciate a
Grillo, i teatri agli altri partiti…e per loro solo qualche sperduto bar di
periferia. Un tempo era la strada, la piazza, l’università, il quartiere, il
cancello della fabbrica il luogo del confronto…oggi metteteci pure il web…ma date un segnale di
vita…dite che siete ancora vivi!
Da tempo vi avevo
dimenticati…molti vi hanno dimenticati…pochissimi riescono a capirvi !
Da poco, e per caso, ho
conosciuto un giovane, Simone Oggionni, portavoce nazionale dei Giovani Comunisti
che nel post, Dissento, scrive: “Dobbiamo fare altro, radicalmente. Cambiare
modo di ragionare. Dovremmo avere il coraggio di indicare e praticare una
prospettiva nuova. Tentando, in primo luogo, di fare quello che abbiamo scritto
e votato nel documento conclusivo dell’ultimo Comitato Politico Nazionale:
collocare la questione comunista, la nostra identità e la nostra azione dentro
l’impresa di costruire una nuova soggettività unitaria della sinistra. Ma non
per rivolgersi ancora una volta ai gruppi dirigenti dei micro-partiti sconfitti
della sinistra, ma facendo finalmente un bagno di vera e umile immersione nella
società, nei movimenti, nelle associazioni, tra i giovani e tra le intelligenze
che animano in ogni territorio – con sofferenza e grande passione – un’idea di
opposizione sociale credibile alle politiche del neoliberismo e
dell’austerità”.
E’ con lui che ci confrontiamo
per capire se la sinistra ha ancora un futuro.
Innanzi
tutto, chi è Simone Oggionni?
Un
militante della sinistra che prova a dare il suo contributo per cambiare molte
delle cose che non vanno. Un tempo era sufficiente definirsi in relazione a ciò
che si voleva cambiare del mondo esterno a noi. Oggi, dato che il problema
siamo innanzitutto noi (perché la sinistra italiana ha sin qui fallito e si è
completamente persa), dobbiamo provare a dire chi siamo anche rispetto a ciò
che proponiamo per superare i nostri limiti e le nostre difficoltà.
Scusa se anticipo domande,
apparentemente sparse, ma di interesse del blog. Reddito minimo garantito o reddito di
cittadinanza?
Reddito
minimo garantito, come è scritto in una proposta di legge di iniziativa
popolare ora consegnata alla discussione parlamentare della quale sono –
insieme ad altri – firmatario e promotore.
Il
tema, a mio avviso, è affermare il principio per il quale anche chi è
disoccupato e chi è in cerca della prima occupazione ha diritto ad una forma di
reddito che gli garantisca una vita dignitosa.
Diffido
del reddito di cittadinanza perché scinde totalmente la questione del reddito
dalla condizione lavorativa.
Penso
invece che l’obiettivo prioritario della sinistra debba essere quello della
piena e buona occupazione (con livelli salariali adeguati). Da questo punto di
vista anche il reddito minimo garantito va integrato da una parte con
l’introduzione di un salario minimo orario intercategoriale e dall’altra con un
intervento diretto e coraggioso dello Stato sul terreno dell’occupazione e
dell’economia.
Diritto
al reddito, quindi. Ma anche diritto al salario e al posto di lavoro.
Secondo te un Welfare come strumento centrale per una società “dignitosa”
sarà possibile con un mercato del lavoro che
sembra sempre più concentrato su pochi(core
workers) e moltissimi periferici (peripheral
workers)?
Certamente
questa è la sfida che dobbiamo giocare. Ritengo che il welfare universalistico sia tutt’altro che superato: non è
un’anticaglia del secolo scorso, come qualcuno sostiene anche a sinistra.
Certamente va ripensato, attualizzato, adeguato innanzitutto alla nuova
condizione produttiva del Paese. Ma chi dice che non possiamo più permetterci
di sostenerlo – e propone più mercato e magari un welfare residuale – mente sapendo di mentire, perché in cuor suo
non è disposto a scelte, forti sul piano della collocazione di classe, che
invece andrebbero fatte. Come pago il sistema previdenziale? Ma perché nessuno
dice che il fondo pensionistico dei lavoratori dipendenti è in attivo mentre
quello dei dirigenti d’azienda è in deficit clamoroso? Perché nessuno vuole
mettere in discussione il fatto che gli operai pagano tanti contributi e
ottengono in cambio pensioni misere, mentre i capi versano pochi contributi e
ottengono in cambio pensioni d’oro. Questo è soltanto un esempio. Ma il punto è
questo: i soldi nel Paese per finanziare uno Stato sociale equo ed efficiente
ci sono. Vanno presi però nelle tasche giuste.
Esiste una flessibilità
“buona”?
No,
non credo esista una flessibilità buona e non ho mai creduto ai cantori della flexsecurity, soprattutto quelli
italiani. La flessibilità – penso soprattutto al nostro Paese – ha portato con
sé sempre una dose inaccettabile di precarietà. Il problema è che il nostro
Paese è pressoché privo di una cultura imprenditoriale che consenta di
utilizzare la flessibilità lavorativa come strumento di crescita delle
opportunità e della dinamicità professionale. Ciò che accade nel nord Europa è
da noi semplicemente impensabile. Qui un contratto a progetto è quasi sempre un
contratto precario, con salario basso e tutele basse.
Cosa ne pensi dello scontro generazionale? Esiste o si è
voluto farlo esistere permettere l’un contro l’altro padri e
figli, con l’intento di dividere due generazioni che, insieme, sarebbero state una massa
minacciosa?
Lo scontro generazionale sarebbe
utile a livello politico, nel senso che bisognerebbe alzare di più la voce
contro una classe politica – lo dico pensando prevalentemente a sinistra – che
è soggettivamente responsabile della condizione drammatica in cui siamo. Ma a
livello sociale lo scontro tra generazioni serve appunto per frammentare le
classi popolari, mettere i padri contro i figli e non i padri e i figli, uniti,
contro queste politiche devastanti. Certamente, alzare l’età pensionabile non
mi sembra un grande incentivo alle nuove assunzioni e non mi sembra una grande
risposta al bisogno di occupazione che c’è a livello giovanile.
Si parla tanto della crisi della famiglia, ma com’è
possibile che non lo sia, se al padre non viene garantita la possibilità
di mantenerla, se ai figli viene negato il futuro e se alle donne non solo viene negato il
lavoro ma, qualora lo abbiano, molte di loro sono impiegate nei servizi e nel
commercio, con orari e turni che concedono poco alla condivisione delle attività
familiari?
Sono
perfettamente d’accordo con te. È questa l’obiezione che muovo a quelle forze
sedicenti moderate e cattoliche che dicono sempre che la priorità è la difesa
della famiglia. La famiglia la difendi veramente se dai lavoro ai giovani,
tutele e diritti ai lavoratori, in particolare alle donne, e consenti alle
coppie di prendere in affitto o comprare una casa, di iscrivere all’asilo il
proprio figlio. Siamo il Paese della doppia morale: si dice di volere difendere
la famiglia ma si contrastano, sul piano economico e sociale, tutte le proposte
che vanno in quella direzione.
Per costruire nuovi posti di
lavoro si parla sempre di “crescita”, ma ormai lo sfruttamento della terra e il
consumo delle risorse è ben al di là delle possibilità. Ci dovremmo concentrare ad inventare
lavori che riparino ai danni che abbiamo creato. Non sarebbe più opportuno
parlare di decrescita?
Capisco
la logica della tua obiezione ma non mi convince. Pensiamo al caso dell’Ilva di
Taranto, che è dal mio punto di vista paradigmatico. Là ci sarebbero da
investire straordinarie risorse (di Riva ma anche dello Stato) per bonificare
la fabbrica e il territorio – e da questo punto di vista hai completamente
ragione tu – ma anche per rilanciare quell’impresa modificando e ammodernando,
come avviene per esempio in Germania, i macchinari, rendendoli compatibili con
la sicurezza dei lavoratori e con l’ambiente. Anche con l’industria siderurgica
puoi decidere cosa produrre e per chi produrre. Questo modello di sviluppo, che
ha distrutto terra, territorio e risorse, non funziona più. Bisogna pensare ad
un nuovo modello di sviluppo – che non deve certo inseguire l’obiettivo della
decrescita – che coniughi sviluppo, occupazione e tutela dell’ambiente.
Se è vero che oltre un terzo
degli elettori di Grillo sono giovani e meno giovani di sinistra, dov’è che quest’ultima ha
sbagliato? Ingroia è stato e meno male che non lo sarà, se ci saranno di nuovo le
votazioni, il candidato…ma veramente lo ritenevi il leader giusto?
Il
problema è molto più profondo. Non possiamo cavarcela facendo autocritica
rispetto agli errori degli ultimi mesi. Per quanto riguarda la nostra lista,
Rivoluzione civile, penso che se non ci fosse stato Antonio Ingroia non avremmo
preso neppure la percentuale – irrisoria – che abbiamo preso. Il dramma è
ancora più grande: non è soltanto colpa di scelte contingenti (anche chi ha
fatto scelte diverse, con leaders diversi, penso a Sel, ha fatto un buco
nell’acqua), ma di una serie lunghissima di errori fatti dai gruppi dirigenti
della sinistra in questi venti anni. Avevamo il più grande partito comunista
d’Occidente e ci troviamo con un Pd senza anima e comunque incapace di vincere
e una serie di microformazioni alla sua sinistra del tutto autoreferenziali e
incapaci di incidere. Da qui bisogna partire: da una critica (e autocritica)
impietosa ai gruppi dirigenti che hanno diretto la sinistra sin qui. E dal
coraggio di cambiare. Certo non bastano facce nuove – serve a monte un nuovo
progetto complessivo, nuove idee, nuovi linguaggi, nuovi riferimenti e nuove
pratiche – ma senza un cambiamento di questo tipo non andremo da nessuna parte.
Non avremo neppure la forza di avviare una riflessione sul cambiamento
complessivo.
E’ solo una curiosità. Spesso,
quando vado su blog/siti di sinistra e leggo i commenti mi annoio: sembrano enciclopedie, trattati di
filosofie ormai lontane, libri stampati…talvolta non sarebbe meglio parlare al cuore e
alla pancia delle persone?
Parlare
al cuore sì, sempre. Non dimentichiamoci che la politica, almeno per noi, è un
fatto innanzitutto di passione per il nostro popolo, per l’ideale di giustizia
e di eguaglianza che ci spinge a sacrificare tanto: affetti, energie, tempo.
Alla pancia no, parlare alla pancia solletica gli istinti, che spesso nell’uomo
sono animali. E portano a destra, quasi sempre.
Cosa intendi quando scrivi “Dobbiamo […] cambiare modo di ragionare. Dovremmo
avere il coraggio di indicare e praticare una prospettiva nuova”?
Tante
cose. Penso che siamo alla chiusura di un ciclo storico. Le sconfitte della
sinistra negli ultimi anni parlano di errori soggettivi ma anche di cambiamenti
profondi nella società, nell’economia, nella cultura che la sinistra per come
la conosciamo non è stata in grado di capire ed interpretare. Non è pensabile
riproporre gli schemi non solo di cinquant’anni fa, ma neppure di venti, dieci
anni fa. È cambiato il mondo. Ci sono diversi equilibri internazionali, una
diversa composizione del mondo del lavoro, nuove modalità di relazionarsi tra
gli individui, nuovi valori e disvalori diffusi. Forse ci piacerebbe – perché è
rassicurante – pensare di poter riproporre un partito comunista di massa con le
sezioni, le case del popolo, il dopolavoro, le sue liturgie, i suoi linguaggi,
i suoi miti. Ma si è disgregata e parcellizzata la società, la classe di
riferimento. Va ricostruito tutto, ma dato le domande sono cambiate, insieme ai
soggetti che le formulano, devono cambiare necessariamente anche le risposte. È
un lavoro di prospettiva lunghissimo, vanno ricostruiti un pensiero, categorie
di lettura, pratiche, linguaggi, ruoli, modalità di coinvolgimento politico, di
iniziativa. Quel che è rimasto di quella storia memorabile e straordinaria non
è sufficiente, in sé, a fare germogliare dal suo ventre un soggetto politico
all’altezza di ciò che eravamo. E allora bisogna guardare fuori da noi, aprirsi
senza paura, interrogare il mondo, la nostra generazione innanzitutto, e con
grande umiltà mettersi in ascolto.
Credi veramente che sia
possibile “…non per rivolgersi ancora ai
gruppi dirigenti dei micro-partiti sconfitti della sinistra”? A me sembra che ognuno
di loro sia depositario dell’assoluta verità!
Anche Claudio Grassi credo che la pensi come te.
La
penso proprio così: qualsiasi proposta che non muovesse dall’assunzione di
questa necessità, la necessità della rottura e della discontinuità, è destinata
inequivocabilmente a fallire. E se non iniziamo a dirlo noi, a sinistra,
lasciamo a Renzi (che avanza ricette vecchissime, più vecchie di quelle
proposte da molti di coloro che vorrebbe rottamare) un’autostrada. Ecco, penso
che commetteremmo un errore molto grave, che non possiamo permetterci più.
Qual è la tua idea di “opposizione sociale credibile alle politiche
del neoliberismo e dell’austerità”?
La
chiave è la credibilità. Quante volte ci raccontiamo cose estremamente
condivisibili o abbiamo posizioni impeccabili (sul tema della pace, dei salari,
delle pensioni, del lavoro) ma riceviamo in cambio tante pacche sulle spalle e
pochissimi voti? Troppe. Sai perché? Perché non siamo credibili: perché
militiamo in formazioni politiche che, anche a causa del fatto che sono tra
loro divise e con un consenso ciascuna di esse del tutto irrilevante, non hanno
alcuna possibilità di realizzare quel che propongono. Neppure la sacrosanta e
necessaria opposizione sociale alle politiche di tagli e di rigore che ci
stanno imponendo. La credibilità la conquisti con persone credibili, con
programmi credibili e avendo alle spalle una massa critica significativa, un
peso e una forza che ti fa percepire come soggetto utile ai lavoratori, nella
società. Quel che io contesto è che spesso non ci poniamo neppure il problema
di come ottenere questa credibilità e di come ottenere quella massa critica che
è necessaria. Ci ripetiamo che siamo nel giusto, e continuiamo a dircelo – con
le stesse facce e le stesse parole di vent’anni fa – anche quando prendiamo
l’1% alle elezioni.
Se il tuo dissenso non
ricevesse l’attenzione dei gruppi dirigenti del tuo e degli altri
micro-partiti…che farai?
Quel
che mi interessa più di ogni altra cosa è il consenso della nostra gente, dei
nostri compagni e di tanti che hanno deciso di non iscriversi più ai partiti
della sinistra – addirittura di non votarli più – perché delusi e sfiduciati. I
fatti hanno la testa dura e questo è un fatto. Con i fatti in politica tutti
devono prima o poi confrontarsi.
Per curiosità: Vendola
potrebbe essere un interlocutore nel tuo progetto?
Certamente,
Sel è un interlocutore importante. Mi auguro che Vendola non scelga la strada
più semplice e cioè quella di sciogliere Sel dentro il Partito democratico,
rinunciando ad ogni prospettiva di trasformazione e di critica allo stato di
cose presenti. Anche il suo risultato elettorale molto deludente dovrebbe fare
riflettere: non è rincorrendo i moderati sempre più a destra che si costruisce
la sinistra.
Un’ultima e forse banale
domanda: ma tu credi davvero che la sinistra abbia un futuro?
Assolutamente
sì. Quando leggo che nel nostro Paese cresce a dismisura il numero delle
ragazze costrette ad abortire perché non hanno i soldi per crescere il proprio
figlio o perché temono di perdere il posto di lavoro mi dico che non possiamo
rimanere fermi. C’è un bisogno di sinistra clamoroso, esorbitante. Se questo
bisogno corrisponderà ad una risposta all’altezza è responsabilità nostra, di
tutti noi. Penso sia un valido motivo per dedicare a questa ambizione una vita
intera.
Ti seguirò con molta attenzione, passione e curiosità, perché sono convinto che tu sia assunto un
impegno titanico. Grazie di avermi concesso l’intervista.
Bravo Oggionni: lo ripeto da tanto, secondo me lui è l'unico che può fare in futuro il segretario non solo di RifondazioneComunista ma di un nuovo partito della sinistra italiana. Avanti così
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