domenica 30 gennaio 2011

LO SPIRITO DELLA TOYOTA

Si parla di Qualità totale, just-in-time, produzione snella, del sistema giapponese di produzione, quasi fosse il rimedio a tutti i mali che affliggono l'occidente, per cui vediamo da vicino questo nuovo modo di produrre. Per fare questo ci avvaliamo del testo di Taiichi Ohno, Lo spirito della Toyota,  seguendo con attenzione l'introduzione che  Marco Revelli ha fatto in questo famoso testo.

Scrive Taiichi Ohno:"L'idea base del sistema Toyota è raggiungere l'eliminazione totale degli sprechi. I due pilastri su cui  si posa questa idea sono il just-in-time e l'autoattivazione della produzione". Il just-in-time è il principio organizzativo in base al quale ogni fase lavorativa deve essere alimentata "nel preciso momento in cui ce n'è bisogno e solo nella quantità necessaria" con ciò rendendo superflua l'esistenza dei magazzini, eliminando lo stoccaggio. L'autonomazione o autoattivazione costituisce, di fatto, un nuovo modo di gestire le macchine e, soprattutto, un nuovo rapporto uomo-macchina: per quanto riguarda la prima, si ritiene importante che le macchine abbiano sistemi di controllo delle difettosità, più che l'eccessiva velocità, e che blocchino la produzione nell'istante stesso in cui una difettosità viene rilevata, conferendo alla macchina "un tocco di sensibilità umana"; per quanto concerne la seconda, si richiede una maggiore "responsabilizzazione degli operai" per ovviare a"due gravi problemi tipici della produzione di massa: [...] non arrestare mai la catena di montaggio, neppure in presenza di errori di lavorazione evidenti [...] e rinunciando, in questo modo, a eliminare le cause della difettosità" e di concedere ad un "macchinario predisposto per produrre una serie ampia di pezzi di moltiplicare all'infinito i difetti una volta che questi si siano prodotti, perché incapaci di bloccarli alla fonte".

Marco Revelli, nell'introduzione del libro, si chiede in quale misura il sistema Toyota rappresenti un'effettiva "rivoluzione produttiva, rispetto al precedente modello fordista-taylorista, e in quale misura, invece, ne costituisca un semplice adeguamento alle mutate condizioni di mercato". E' necessario tenere conto, tra l'altro, anche delle "favorevoli condizioni politico-ambientali ( un lavoratore giapponese lavora in media 500 ore in più all'anno rispetto a uno europeo e 250 ore rispetto a uno americano)", oltre ad altri fattori che vedremo di seguito, attraverso alcuni autori.

Nel saggio, Penser à l'envers, Benjamin Coriat ritiene che "il complesso delle innovazioni organizzative" della Toyota sono trasferibili e applicabili in "spazi socio-economici differenti da quelli nei quali e per i quali era stato concepito", considerando il testo di Ohno di una "qualità e importanza [...] da tutti i punti di vista" al libro di Taylor, La direzione scientifica delle imprese, coniando addirittura il termine "ohnismo" in simmetria e in opposizione al superato termine taylorismo, costituendone, nel contempo, "una rottura radicale".

Ci sono, però, autori come Dohse, Jurgens e Malsch che non condividono le stesse entusiastiche visioni, vedendo nel sistema Toyota "la sostanziale continuità tra ohnismo e fordismo e una sostanziale radicalizzazione [...] del modello organizzativo taylorista: una sorta di super-fordismo [...] la pratica di principi organizzativo del fordismo in una condizione di prerogative manageriali illimitate". Oppure, come l'inglese S.Wood, che vede, attraverso "l'assoluta possibilità di sorveglianza, controllo e responsabilizzazione della forza lavoro da parte del comando d'impresa [...] l'essenza del nuovo modello produttivo: un vero e proprio Panopticon di fabbrica, il quale non farebbe che esasperare il progetto taylorista di riduzione dell'opacità operaia e di realizzazione di una piena visibilità del processo lavorativo".

Nel suo testo, Ohno richiama spesso gli scritti di Ford e ne esalta alcune preveggenze, addebitando ai suoi successori di non aver capito i suggerimenti e le visioni di un nuovo modo di produrre. Ci riferiamo in particolar modo alla concezione fordiana della "fabbrica sincronica", dove tutte le parti del processo lavorativo dovevano essere perfettamente sincronizzate e che solo per ragioni contingenti non è stata realizzata e cioè i mezzi tecnici del tempo permettevano un pieno sincronismo solo per produzioni molto uniformi e non per cicli lavorativi più articolati. Inoltre, in quel periodo la General Motors aveva concepito la realizzazione di modelli diversificati, per categorie di acquirenti diverse, puntando sulla presentazione di modelli nuovi alla fine di ogni anno. Ciò aveva tolto alle imprese la "perfetta linearità" della produzione di massa, tipica del modello "T", creando un ciclo produttivo in cui si alternavano momenti di alta produzione a fasi di rallentamento, progettazione e ripartenze.

E' in questa fase che il sistema Toyota, con la propria organizzazione produttiva ha potuto raggiungere il pieno successo. Da una parte c'era un'azienda estremamente rigida e dall'altra un'azienda che era riuscita a diversificarsi in termini di modelli, ma la produzione era ancora legata ad una gestione delle scorte in termini di produzione di massa. La produzione just-in-time e l'elasticità dovuta al nuovo sistema produttivo rispondevano meglio alle esigenze del mercato in quanto era "più adattabile alle esigenze dei singoli momenti". E' per ciò che il modello proposto da Ohno può "a buona ragione essere definito come una sorta di fordismo oltr eFord", perché è andato oltre, perfezionandolo, il sogno di Ford della fabbrica sincronica. Stessa cosa si può dire rispetto a Taylor : "il mito dell'one best way" aveva come scopo che l'operaio desse il massimo "della propria capacità produttiva, senza sprechi, né sacche di inefficienza". Ohno si è spostato dall'uomo all'organizzazione dell'intera impresa: "egli tratta l'organizzazione esattamente come Taylor trattava gli uomini", il quanto "il sistema di produzione Toyota è basato fondamentalmente sull'eliminazione totale delle disfunzioni e degli sprechi". Come rileva Revelli "prima che un metodo produttivo [...] è uno strumento di controllo gestionale diretto a rendere 'trasparente' il sistema di fabbrica". E ciò non nega la concezione taylorista, che con il suo cronometrista voleva rendere 'trasparente' il lavoro dell'operaio, anzi, la supera se non la 'radicalizza'. Se vogliamo trovare una differenza è che Ohno non dà alla sua teoria il valore di scienza, come fa Taylor, ma ritiene importante che la stessa sia continuamente migliorata, secondo il "principio del concetto orientale di kaizen". E' attraverso questo continuo miglioramento che si devono migliorare le inefficienze e gli sprechi, ma anche gravando "in misura crescente [...] sulla forza-lavoro, per la quale comporta da una parte una costante riduzione ( la fabbrica snella è una fabbrica con pochi operai), dall'altra un crescente grado di coinvolgimento e di controllo", tanto che il toyotismo è stato definito "un sistema che cerca di strizzare acqua da un asciugamano asciutto".

Indubbiamente vi sono anche elementi di discontinuità dal sistema taylor-fordista, come quello che riguarda il rapporto con il mercato. La filosofia produttiva fordista ragionava in termini di "illimitatezza del mercato, di indefinita estendibilità della domanda", per cui era concepibile un sistema produttivo di massa. Il sistema Toyota, invece, "costituisce in condizioni di 'mercato finito' [...] è caratterizzato dalla consapevolezza del 'limite': della necessità di produrre quote sempre minori di prodotti sempre più differenziati al loro interno, per un mercato sempre più esigente e differenziato". Infatti scrive Ohno " Il sistema Toyota è un sistema produttivo concepito per condizioni di crescita lenta o nulla". Ciò implica che i produttori dovranno " ridurre i costi senza aumentare nel contempo la scala produttiva, anzi, riducendola e differenziandola [...] La fabbrica dovrà imparare a vibrare con il mercato, a seguirne ogni minima increspatura, ogni repentino mutamento d'umore [...] Dovrà attrezzarsi per una pratica occasionalistica, misurata sul tempo breve e brevissimo, capace di mutare istant eper istante l'organizzazione del lavoro, l'organico delle squadre, la disposizione delle macchine a seconda dei volumi produttivi e del tipo di merce richiesta".

A tal fine sono importanti due osservazioni di Shigeo Shingo, che centrano in modo chiaro le due filosofie produttive: che la Toyota "fabbrica prodotti che sono già venduti" mentre le fabbriche a produzione di massa "fabbricano prodotti che eventualmente è possibile vendere"; mentre nelle fabbriche tradizionali il prezzo di vendita è dato dalla somma dei costi e l'utile desiderato, alla Toyota è "l'utile ad essere determinato sottraendo dal prezzo di vendita i costi". In pratica è il cliente che stabilisce il prezzo in funzione delle sue preferenze e cioè "il mercato fissa il prezzo di vendita, cioè la scelta del consumatore decide il prezzo". 

Ma la vera anima del sistema Toyota è nel sistema di comunicazioni interne - nella tecnica del kanban e nelle procedure che determinano i volumi produttivi giornalieri. Nelle fabbriche a produzione di massa, il flusso di comunicazione andava dal centro, a cui spettava stabilire i volumi di produzione e i tempi di realizzo di ogni reparto, per poi estendersi, da monte a valle, verso tutti i cicli lavorativi. Nel sistema Toyota è esattamente il contrario e cioè da valle a monte. In pratica dal mercato arrivano le richieste, a fronte delle quali il montaggio richiede alle stazioni precedenti i materiali necessari, istante per istante, per far fronte alla richiesta. Ciò non è solo una modifica di comunicazione interna o alimentazione delle linee di produzione, ma viene posto in "discussione e rovesciato l'intero sistema di razionalità sinottico-burocratica del modello fordista, incentrato sull'egemonia della fabbrica sull'insieme dei rapporti sociali".


Altro elemento di discontinuità con il taylor-fordismo " riguarda il rapporto con la forza-lavoro. La concezione della fabbrica come 'ambiente sociale'. Qui il confronto è con il taylorismo. Pe Taylor "la scienza del lavoro" doveva servire a vincere la "naturale pigrizia operaia; a restituire al padrone la conoscenza del processo lavorativo, sfondando il monopolio della conoscenza del mestiere detenuto dai lavoratori". La fabbrica tayloristica, scrive Revelli "era una struttura produttiva feroce, dispotica, aggressiva: perché [...] dualistica [...] Fondata sull'idea di una separazione e di una strutturale contrapposizione tra i principali soggetti produttivi. Essa incorporava, nella sua stessa 'costituzione', il conflitto. Il rapporto di forza. Per superarlo, certo: per dissolverlo nell'universalità oggettiva della scienza. Ma non senza residui: l'alterità operaia dentro il sistema di macchine è rimasta, fino alla fine, il principio occulto del taylorismo. Così come l'atto produttivo ha continuato a vivere, nella filosofia tayloristica, come il risultato di un confronto sociale conflittuale: l'esito di una 'lotta'".


Il sistema Toyota, invece, prevede "una comunità di fabbrica unificata e omologata" in cui il lavoratore polivalente deve adoperare la sua intelligenza nel processo lavorativo, attraverso funzioni esecutive, di controllo e progettazione; dove ha la funzione di segnalare difetti al momento stesso della nascita e dove è richiesta la partecipazione alla ristrutturazione del processo lavorativo in funzione delle variazioni delle richieste del mercato. Scrive Revelli "Se la fabbrica tayloristica si fondava sul 'dispotismo' questa aspira all'egemonia'. Se quella usava la 'costrizione' questa gioca sull'appartenenza'. Qui si tratta di "sussumere al capitale la dimensione esistenziale stessa della forza-lavoro [...] di fare dell'appartenenza all'impresa l'unica soggettività possibile". Se il taylorismo riteneva un "disturbo" la capacità intellettuale dell'operaio, qui viene trattato come una "risorsa"; se per il taylorismo era rigorosa la divisione fra l'ideazione e l'esecuzione, nella fabbrica integrata "diventa 'diritto-dovere' del lavoratore partecipante: condizione di accesso a quella 'cittadinanza di fabbrica' che, nel modello giapponese, appare più forte e qualificante della 'cittadinanza politica' stessa". D'altronde come sarebbe possibile poter essere pronti a "modificarsi a ogni increspatura sulla superficie inquieta della domanda" se non attraverso una forza-lavoro attiva? Ed è per questo che occorre stimolarla all'"autoattivazione, coinvolgerla nella realizzazione delle politiche aziendali, politicizzare aziendalmente il lavoro direttamente produttivo. Occorre[...] esercitare 'egemonia' sull'antico avversario di 'classe'".


In Italia il modello produttivo giapponese arrivò tardi, agli inizi degli anni '90 del secolo scorso e il dibattito che sollevò fu molto superficiale e fu a seguito dell'intervento di Cesare Romiti alla convention di Marentino dell'ottobre del 1989, che si cominciò a valutare l'opportunità di inserire tale sistema nel nostro paese. Da parte manageriale ci si concentrò sulla 'Qualità totale', che poi si ridusse solo ad una serie di tecniche, di 'strumenti operativi', trascurandone la 'filosofia produttiva' e tenendo per buoni singoli aspetti direttamente applicabili a specifici aspetti della realtà aziendale. Dal lato sindacale si sono colti solo gli aspetti "partecipativi, gli elementi di rivalorizzazione del lavoro, il superamento della tayloristica separazione tra ideazione ed esecuzione, e ipotizzando improbabili rilanci cogestionali".


Quello che è stato ignorato sono gli aspetti 'ambientali' del modello giapponese e i suoi 'pre-requisiti politico-sociali', che ne sono la sua 'stabilità ed efficacia e da cui dipende in larga misura la sua struttura. Vediamo innanzi tutto il mercato del lavoro.


Esso, come sottolinea Revelli, "fortemente segmentato in settori di forza lavoro nettamente separati [...] esplicitamente 'organizzato' dal potere delle imprese [...] Sono le grandi imprese che 'gestiscono' [...] l'intera vita sociale del settore centrale di forza lavoro [...] il cosiddetto ' mercato della lealtà' [...] e a cui la 'fedelta' ' richiesta è compensata con un elevato grado di sicurezza. A costoro è garantito 'l'impiego a vita' [...] un percorso di carriera certo e predeterminato e prestazioni assistenziali fornite direttamente dall'impresa". Questa fascia di lavoratori privilegiati sono un terzo del totale. Quindi c'è il 'secondo mercato' "più marginale e meno garantito", normalmente utilizzati nelle piccole imprese e molto fluttuante, senza considerare che sono soggetti a "cedere il posto se una grande impresa, in posizione di controllo sulla minore, chiede a questa di 'prendere in prestito' i propri dipendenti in una fase di recessione".Questo segmento, che vede la prevalenza di donne, rappresenta un altro 30 per cento del totale delle forze lavoro. Infine c'è un terzo livello, quello chiamato " 'mercato mercenario' [...] privo di garanzia e stabilità. Massa di manovra da impiegare [...] quando il mercato tira, e da espellere quando la domanda cala". Ed anche questo segmento rappresenta un ulteriore 30 per cento sul totale.


Per quanto concerne il salario, il discorso è analogo al mercato del lavoro. E' fortemente differenziato e legato "ad una gerarchia di status basata, più che sulla funzione o sul ruolo produttivo, sulla 'fedeltà' [...] è fortemente legato all'anzianità e alla carriera pregressa". Si pensi che ad ogni primavera "ognuno viene valutato dal proprio superiore diretto, e ottiene una variazione di salario oscillante entro una fascia che va da +15 a -15 per cento sulla base di determinati criteri (assenteismo, grado di collaborazione, idee per migliorare il prodotto, disciplina ecc)". Inoltre è da evidenziare che solo un terzo dello stipendio è costituito dalla paga base e il resto è dato dai premi di produzione e dallo straordinario.


Per quanto riguarda il sindacato, è da evidenziare che è "rigorosamente aziendale. L'iscrizione obbligatoria per gli operai del primo livello (il mercato della lealtà). Gli altri ne sono esclusi. Tra i suoi quadri vengono reclutati i dirigenti dell'impresa". E' intuibile il motivo per cui molti autori ritengono il sistema Toyota sia applicabile esclusivamente in un "ambiente sociale 'sterilizzato' da ogni soggettività antagonistica" ed è ancora più comprensibile come possa essere difficile la sua totale applicazione nei paesi europei "fortemente segnati dall'esperienza del movimento operaio e da forme di rappresentanza del lavoro consolidate".


Il sistema produttivo giapponese non è importabile così com'è, ma, cogliendone l'aspetto centrale della filosofia, specialmente ciò che riguarda la continua ottimizzazione del processo produttivo, non tanto incentrato sulla continua e pressante necessità di investire in macchinari, ma nell'ottimizzazione della gestione, con ciò a riguardo del personale, delle macchine, delle procedure, della partecipazione dei lavoratori, nella continua ricerca dei difetti, della qualità ecc. può essere un buon stimolo. Sotto l'aspetto della qualità, della valorizzazione del lavoro 'attivo', della produttività e della partecipazione alla produzione ci sarebbero dei miglioramenti, ma non è certo da aspettarsi un incremento dei posti di lavoro. Con 'l'eliminazione costante degli sprechi' uno degli obiettivi è lo spreco 'mano d'opera', per cui le imprese otterrebbero maggiore produttività con lo stesso personale o anche in quantità minore. Quindi è plausibile pensare che l'incremento dei posti di lavoro è possibile ottenerlo solo con nuovi lavori. Se ciò non fosse, il pericolo incombente è una sempre più accentuata segmentazione del mercato del lavoro, per non parlare della maggiore disoccupazione. L'unico possibile vantaggio si potrebbe riscontrare nel fatto che si potrebbe ridurre il turn-over  della forza lavoro, in quanto, una volta specializzata, sarà più difficile per gli imprenditori disfarsene nei momenti di difficoltà, rischiando di non poterci far conto nei momenti in cui il mercato tira. 


Certo non è la soluzione, forse è solo una delle possibili soluzioni, ma, sicuramente, potrebbe essere la strada per raggiungere una reale qualità, che non è data dal sistema di Qualità totale adottato e tanto decantato, che poco si distanzia dalla scienza tayloristica. 

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