mercoledì 11 gennaio 2012

Imperativo: creare posti di lavoro.

In questi giorni si dovrebbe entrare nel vivo (o si decide?) del confronto fra Governo e parti sociali per definire la riforma del lavoro. Su una cosa concordiamo con Monti: bisogna fare in fretta. I sindacati possono avere anche le loro ragioni a chiedere il "giusto" tempo, per non fare cose affrettate, ma i giovani, le donne e i lavoratori non possono più attendere. Certo che se sono divisi anche sui modi di intendere il nuovo mercato del lavoro e se non sono in grado di presentare una piattaforma unica, il  "il loro giusto tempo"  si dilaterà all'infinito. Senza considerare che, come al solito, si farà un "italico compromesso", che non soddisferà nessuno o, ancora peggio, si tornerà alle solite divisioni sindacali. 

Allora, contratto unico o contratto prevalente ? Secondo la Camusso, alcune proposte di contratto unico sono solo "un messaggio pubblicitario ingannevole". Naturalmente l'unica strada che vede percorribile è il contratto prevalente, in quanto è " una forma di assunzione incentivata che sia di inserimento e formazione insieme [...] la formazione sul lavoro è più utile e costa meno della formazione nei centri di formazione".  Bonanni non si sbilancia sui due contratti, ma ribadisce che " non si risolvono i problemi dei precari abbassando le tutele agli altri lavoratori". Strano! Eppure sembra esserci una sorta di tam-tam mediatico sulla lobby "dei vecchi lavoratori che vogliono tutte le garanzie per loro e non le vogliono cedere ai giovani"! Questi vecchi lobbisti che pensano di meritare la pensione solo perché hanno lavorato 35-40 anni!  Per Angeletti, invece, l'apprendistato risponde già adeguatamente ai problemi della rigidità, solo che non è molto usato; l'importante è che "bisogna mettere le imprese nelle condizioni di preferire, di rendere più convenienti le assunzioni a tempo indeterminato". Come? Potrebbe essere anche molto rivoluzionaria questa proposta...ma non è il caso di Angeletti! Poi, chissà, forse nascerà ancora qualche altra proposta dal Pd, che per contrastare quella di Ichino, potrebbe fare un copia incolla fra varie altre proposte. 
Sembra che per attirare le imprese estere e per sviluppare l'occupazione non rimanga altra strada che "facilitare il licenziamento". Più sarà facile licenziare e maggiori saranno le occasioni di assumere. Certo! Bisognerà vedere se il rapporto darà un saldo positivo! In prima analisi pare essere una macroscopica stupidità! 
A questo punto è molto interessante riportare un breve sunto di un articolo di Luciano Gallino, tanto per vivacizzare la discussione o per complicare ulteriormente  le scelte da fare. La priorità del Governo è aprire un tavolo di discussione per decidere quali riforme introdurre sul mercato del lavoro al fine di renderlo più flessibile. I sindacati, purtroppo, si sono messi a discutere su come riformare le norme di ingresso e di uscita da un mercato che rischia una contrazione senza precedenti; con il rischio di milioni di disoccupati di lunga durata. Il problema della crisi non è la difficoltà a non licenziare, ma il fatto che non ci sono ordinativi, vuoi per incapacità delle industrie stesse e vuoi perché manca una vera e propria politica economica di rilancio. E' su questa che Governo, manager, industriali ed esperti di settore dovrebbero concentrare le loro forze e capacità. In questi anni sono stati utilizzate dalle imprese milioni di ore a tempo determinato, parziale ecc. e la precarietà è aumentata a dismisura. Ciò che si vuole porre come regola in un nuovo contratto di lavoro, di fatto, è già stato in uso, senza, per altro, sortire nessun effetto positivo. Anche lo studio degli ammortizzatori sociali non costa meno (sempre che sia adeguato alla situazione!) rispetto alla costruzione di nuovi posti di lavoro. Certo ciò implica impegno politico e sforzo economico. Forse è preferibile un lavoro stabile e remunerato, magari anche un po' al di sotto della media salariale, piuttosto che i 700/800 euro di sussidio, rimanendo, magari,  ai margini di un mercato che sembra non aver bisogno di te. Ciò rivaluterebbe le competenze professionali e sarebbe un  valido elemento per una maggiore coesione sociale.
Secondo l'Istat il tasso di disoccupazione giovanile, che è del 30,1% ed è il tasso più alto da gennaio 2004, cioè da quando esistono le serie storiche mensili. Il tasso di disoccupazione complessivo è salito all'8,6%.  In Italia i lavoratori senza speranza   sono 2,7 milioni ovvero l'11,1% della forza lavoro: nella Ue a 27 membri sono 8 milioni e 250mila. Se prendiamo come riferimento solo l'eurozona, allora i lavoratori che non hanno speranza di trovare lavoro sono 5 milioni e 465mila. In questo caso è un italiano ogni due europei. Secondo i dati Isfol Plus il 12,4% dei lavoratori italiani ha un contratto atipico per i giovani il valore sale al 25%).
Qualche giorno fa l'Eures ci ha fatto sapere che nel nostro Paese si suicida un disoccupato al giorno. Oggi, invece, la Cgia di Mestre ci informa che nel solo Nord-Est una  cinquantina di piccoli imprenditori si sono tolti la vita. Aziende che lavoravano per le amministrazioni pubbliche; che ricevevano i pagamenti con ritardi folli, pur facendo fronte agli stipendi e ai contributi, senza poter contare sulle banche...
E' proprio a fronte dei dati sopra esposti che Luciano Gallino ha ragione da vendere quando asserisce che l'impellenza è nel creare nuovi posti di lavoro. Tutto ciò permetterebbe ai nostri migliori giovani di non scappare all'estero, portandosi  via, oltre alla creatività, tipicamente italiana, anche la conoscenza. E' attraverso i nuovi posti di lavoro che si potrà sperare di importare anche " giovani menti straniere", necessarie per cementare l'imprenditorialità della Nazione. E' attraverso il collegamento fra l'università e il lavoro che si sviluppa il futuro del Paese, magari attraverso centri di ricerca di alto livello e, perché no, a capitale misto.
Qualcuno potrà obiettare che serve denaro per fare tutto ciò. Certo, come serve per un reddito minimo, oppure per un minimo di ammortizzatori sociali, o per riqualificare le persone disoccupate. Anziché gridare allo "stato di polizia", sarebbe da applaudire quando si  da la caccia agli evasori  e forse si potrebbero recuperare denari utili per investire in progetti leciti. Gli evasori sottraggono al bene pubblico circa 120 miliardi di euro l'anno.  
Oggi il soggetto economico in grado di fare investimenti e che non conosce crisi è la mafia! Il suo fatturato sfiora 100 miliardi di euro, pari al 7% del Pil.
Combattere con decisione e forza i due mali principali del nostro Paese, non solo ripagherebbe le forze dell'ordine, ma darebbe linfa per progetti di grande utilità collettiva.







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