Accanto all'occupazione instabile e discontinua, con contratti a termine ma gestiti da leggi, esiste tutta quella instabilità e discontinuità in cui non esiste di fatto un contratto, ovvero è solo verbale o implicito: in pratica si tratta, come ricorda Gallino, di "quell'universo parallelo di lavori flessibili costituito dall'economia sommersa, che per sua natura non è regolato né regolabile". Universo parallelo in cui lavorano milioni di persone assoggettate all'arbitrarietà del datore di lavoro, che stabilisce le ore da far fare, che modula l'entità del salario a suo piacimento, che decide se e quando assumere o licenziare. Milioni di persone che all'instabilità del lavoro uniscono l'assoluta mancanza di diritti. Secondo Gallino, è talmente forte la connessione e l'intreccio fra l'economia regolare e quella sommersa che, ove quest'ultima dovesse mancare, l'economia regolare entrerebbe in crisi entro breve tempo.
Su Social Europe Journal è uscito uno studio molto interessante di G.Ardizzi, C.Petraglia, M.Piacenza e G.Turati dal titolo " L'economia sommersa fra evasione e crimine: una rivisitazione del Courrency Demand Approach con una applicazione al contesto italiano". In pratica la rivisitazione del sistema CDA permette di separare, quindi stimare separatamente, il settore sommerso per motivi tributari e contributivi da quello rientrante nell'economia criminale, come il traffico di stupefacenti e la prostituzione.
In una ricerca precedente a quella che stiamo analizzando si era dimostrato che l'economia sommersa è minore in quelle economie dove maggiore è l'utilizzo di strumenti di pagamento elettronici e in base a tale studio studio l'Italia ha due primati non invidiabili dagli altri paesi: quello della quota di transazioni che vengono regolate con pagamenti in contanti (un indice di arretratezza finanziaria) e quello dell'incidenza dell'economia sommersa sul Pil (349 miliardi di euro, pari al 24% del Pil, mentre nella Ue a 27 si raggiungono 2000 miliardi di euro, circa il 18% del Pil).
Lo studio prende in esame i dati relativi agli anni 2005-2008 e, al di là dei dati che riguardano il nostro paese, sono interessanti i dati dell'economia sommersa in rapporto al Pil per anno e area geografica, perché ci danno delle indicazioni un po diverse dal comune parlare.
Tabella 2. Valori medi dell’economia sommersa in rapporto al PIL per anno e area geografica
somm. fiscale somm. criminale somm. totale
ITALIA
2005 14,5% 10,2% 24,6%
2006 15,0% 9,6% 24,5%
2007 18,0% 11,3% 29,3%
2008 18,5% 12,6% 31,2%
Tutti gli anni 16,5% 10,9% 27,4%
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CENTRO-NORD
2005 16,6% 11,5% 28,1%
2006 16,6% 11,0% 27,6%
2007 19,9% 13,0% 32,9%
2008 20,8% 14,6% 35,4%
Tutti gli anni 18,5% 12,5% 31,0%
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SUD
2005 9,7% 7,2% 16,9%
2006 11,3% 6,3% 17,6%
2007 13,6% 7,4% 21,0%
2008 13,6% 8,2% 21,8%
Tutti gli anni 12,0% 7,3% 19,3%
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Se leggiamo le stime su scala nazionale emerge un valore medio del sommerso fiscale del 16,5%, e di quello criminale del 10,9% per un sommerso totale del 27,4% sul Pil. Cifre assolutamente mostruose.
Ma se ci addentriamo ad analizzare l'evidenza disaggregata per aree territoriali si evince che le province del Centro-Nord, in media, hanno una maggiore incidenza sia del sommerso da evasione sia di quello associato alle attività illegali rispetto alle province del Sud: risultato che contraddice "l'opinione diffusa secondo cui il Mezzogiorno sarebbe il principale responsabile della formazione della nostra shadow economy". Se il risultato del sommerso fiscale serve per approfondire e ricercare le motivazioni sottostanti all'aumento della tendenza ad evadere; il sommerso criminale indica quale siano le capacità delle organizzazioni criminali di "esportare" traffici illeciti (droga e prostituzione) nelle aree più benestanti dove chiaramente vi è una maggiore concentrazione di persone disposte a pagare.
Tanto per avere un'indicazione delle cifre di cui stiamo parlando, basta confrontare il dato della media percentuale del sommerso totale (27,4% del Pil), sempre relativo al 2008, con la Spesa pubblica per i programmi relativi al mercato del lavoro (misure attive e misure passive): un ridicolo 1,29% del Pil.
Se non è facile intervenire sul sommerso illegale (10,9%), avere un sommerso fiscale del 16,5% sul Pil è un dato elevatissimo e impossibile da non avere sotto controllo e non riuscire a fare niente per normalizzarlo, per cui ci viene il dubbio che, in effetti, sarebbe estremamente difficile normalizzarlo anche in termini di posti di lavoro, quindi è quasi preferibile accettare la situazione di lavoratori non aventi diritti, ma che qualche volta mangiano, a lavoratori con diritti riconosciuti ma ai quali rimangono solo gli occhi per piangere.
In questi giorni leggevamo di un'indagine Ires sui praticanti negli studi di avvocati e architetti, i quali, per un 84,5%, devono garantire presenza quotidiana o un orario praticamente full-time; il 91,6% si dice insoddisfatto dello stipendio e il 54,1% non percepisce nessuna retribuzione: lavora gratis. Non vogliamo parlare dello sfruttamento legalizzato di questi giovani, ma far notare che nel 54,1% ce ne sono una buona percentuale che percepisce un miserabile stipendio in nero. E non siamo convinti che chi governa non abbia i mezzi e le possibilità per far emergere certe anomalie: basterebbe, in questo caso, imporre un compenso minimo di sussistenza per il periodo di stage o praticantato. Per quanto poco, una certa mole di lavoro la svolgono, basti vedere nei tribunali quanti praticanti sostituiscono gli avvocati, oppure tutta quella serie di lavori di preparazione delle cause in fase di dibattimento, per sintetizzare e facilitare il lavoro al titolare dello studio.
Se non è facile intervenire sul sommerso illegale (10,9%), avere un sommerso fiscale del 16,5% sul Pil è un dato elevatissimo e impossibile da non avere sotto controllo e non riuscire a fare niente per normalizzarlo, per cui ci viene il dubbio che, in effetti, sarebbe estremamente difficile normalizzarlo anche in termini di posti di lavoro, quindi è quasi preferibile accettare la situazione di lavoratori non aventi diritti, ma che qualche volta mangiano, a lavoratori con diritti riconosciuti ma ai quali rimangono solo gli occhi per piangere.
In questi giorni leggevamo di un'indagine Ires sui praticanti negli studi di avvocati e architetti, i quali, per un 84,5%, devono garantire presenza quotidiana o un orario praticamente full-time; il 91,6% si dice insoddisfatto dello stipendio e il 54,1% non percepisce nessuna retribuzione: lavora gratis. Non vogliamo parlare dello sfruttamento legalizzato di questi giovani, ma far notare che nel 54,1% ce ne sono una buona percentuale che percepisce un miserabile stipendio in nero. E non siamo convinti che chi governa non abbia i mezzi e le possibilità per far emergere certe anomalie: basterebbe, in questo caso, imporre un compenso minimo di sussistenza per il periodo di stage o praticantato. Per quanto poco, una certa mole di lavoro la svolgono, basti vedere nei tribunali quanti praticanti sostituiscono gli avvocati, oppure tutta quella serie di lavori di preparazione delle cause in fase di dibattimento, per sintetizzare e facilitare il lavoro al titolare dello studio.
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