giovedì 17 maggio 2012

La crisi: il fondo più fondo

Ma esiste un fondo a questa crisi?
Ormai non si contano più le volte che si è detto di aver toccato il fondo, che non ci rimane che risollevarci, che peggio di così non è possibile...
Fino ad oggi i giorni seguenti hanno sempre aperto inaspettate botole sui fondi creati nei giorni precedenti, spostando in avanti l'inizio della ripresa. Si progettano futuri diversi, si cambiano le date, le strategie sono controverse, i tecnici brancolano, i politici latitano e le persone cadono in un fondo più fondo! 
La gente cerca di aggrapparsi, ma le pareti sono lisce e quando sembra che la caduta sia finita, appaiono poche corde, intrise di grasso; le persone tentano di risalire ma scivolano di nuovo. Una fatica immane e inutile che crea ansia, scoraggiamento e paura. Eppure ci sono le scale! Magari a pioli e faticose da fare, ma ci sono!  Certo, serve che qualcuno le prenda, che le ancori al bordo del fondo. Forse saranno poche, ma se sono solide ci vorrà più tempo, ma per tutti ci sarà di nuovo il sole. Non è questione di coraggio, ma di coscienza; non è un problema di risorse, ma di equità, perché le risorse ci sono, ma sono concentrate nei pochi che "vogliono il mondo".  Ma fino a quando sarà possibile mantenere disoccupati 11 milioni di giovani nell'area Ocse e con una disoccupazione stabile all'8,2%? E se in Italia la disoccupazione giovanile a marzo ha toccato il picco del 35,9%, in Spagna e in Grecia, rispettivamente, si è raggiunto il 51,1% e il 51,2%. 
Nell'ultimo rapporto dell'Ilo, World of Work,  si legge che la "disoccupazione giovanile e femminile ha raggiunto livelli drammatici nelle economie avanzate [...] con un aumento dell'80% rispetto all'inizio della crisi. Su questo pesa l'aggravante dei contratti precari che finiscono per rendere il lavoro poco produttivo oltre che poco remunerativo".
Ci sono programmi, come lo Youth in Action, che hanno "l'obiettivo di migliorare le condizioni del lavoro, perfezionare le competenze professionali e aumentare le opportunità per i giovani europei", ma, francamente, oggi sono più corde con grasso che faticose scale a pioli. Serve una decisa, tenace e convinta politica che aiuti i giovani sulla strada del lavoro e delle microimprenditorialità. Ci sono casi interessanti che danno segnali importanti, ma sono ancora troppo pochi, poco sviluppati e, forse, poco pubblicizzati. In Veneto 1.500 under 40 dal 2008 a oggi hanno deciso di diventare titolari di un'azienda agricola, sfruttando i finanziamenti del Programma di sviluppo. Si tratta di giovani laureati, anche bocconiani, che hanno deciso di avventurarsi in un settore considerato di serie "B" con grandi risultati imprenditoriali. Ma questi esempi sono solo semi o germogli, certamente importanti, che fanno parte di quella nuova frontiera che i giovani dovranno rivalutare, l'artigianato moderno, l'osmosi della conoscenza acquisita nella preparazione universitaria con il saper fare manuale.
Ma quello che realmente serve per frenare la caduta, che poi è l'appello di molti economisti, è la creazione di lavoro. La crescita.  Se si ha la consapevolezza, come scrive Luciano Gallino, che la "disoccupazione comporta povertà, perdita della casa, criminalità, denutrizione, abbandoni scolastici, antagonismo etnico, famiglie spezzate e altri problemi sociali", allora non è pensabile, tanto meno ammissibile, che la sua proposta di come creare lavoro non sia presa in seria considerazione: lo Stato che assume direttamente, attraverso un'apposita agenzia, il maggior numero di disoccupati e di precari.
Forse è arrivato il tempo di dedicarsi a vere battaglie per l'interesse comune, abbandonando falsi miti, come la flessibilità, come panacea contro tutti i mali del lavoro. Da uno studio apparso su lavoce.info si legge " I contratti a tempo determinato sono stati introdotti in tutta Europa per dare flessibilità a mercati del lavoro ritenuti molto rigidi. Nel nostro Paese avevano anche un altro obiettivo: ridurre il lavoro nero. I risultati empirici dimostrano che la riforma Biagi non ha avuto alcun effetto significativo nell'assorbire il lavoro irregolare". Forse, in questo caso, sarebbe più necessaria un'effettiva volontà politica a risolvere il problema. In questi anni la lotta al lavoro nero sembrava più una timida minaccia, senza troppo esagerare, perché, infondo, quale lavoro  alternativo e regolare avrebbero avuto quei lavoratori?
Equità, lavoro e vita dignitosa sono diritti fondamentali di ogni cittadino, che non dovrebbero essere chiesti ne, tanto meno, combattere per averli. 
Il lavoro da fare è tanto, il tempo è sempre meno, il disagio sociale è elevato, quindi non c'è più tempo per le cialtronerie e la politica, depurata dai mestieranti, torni al suo lavoro.





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